The Queen Is Dead | Il grande salto degli Smiths
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The Queen Is Dead | Il grande salto degli Smiths

The Queen Is Dead | Il grande salto degli Smiths

Postato il 20 Giugno, 2024

Artist

Year

Country

UK
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Tracks

10

Runtime

37'07''

Produced by

The Smiths

Label

The Queen is Dead è il terzo album degli Smiths, uscito nel Regno Unito il 16 giugno del 1986 per l’etichetta Rough Trade Records. All’epoca, l’album rappresenta un balzo in avanti per la band, che tocca nuove vette liriche e musicali. The Queen is Dead è molto più rock dei precedenti – anche se in scala relativa – considerando il sound dei loro precedenti lavori. Johnny Marr utilizza indiscriminatamente vari stili alla chitarra, diversi per ogni pezzo. C’è il faux rockabilly di Vicar in a Tutu, il pop acustico in Cemetry Gates e The Boy with the Thorn in His Side, fino alla melanconia di There Is a Light That Never Goes Out.

Questo sfondo musicale si rivela impalcatura perfetta per alcuni tra i migliori testi di Morrissey. Le canzoni di ‘Moz’ offrono una satira perspicace e arguta della società britannica, del suo intellettualismo, classismo e persino di se stesso.

Anti-monarchico e anti-conservatore

Già nell’album di debutto degli Smiths del 1984 e nel successivo Meat is Murder era presente la caratteristica essenziale della band: i delicati arpeggi alla chitarra di Marr che si riversano sulle parole dei testi di Morrissey, impregnandole di vitalità.

The Queen is Dead nasce alla fine di una fase intensa e complicata nella parabola degli Smiths. Al tempo c’erano sia tensioni personali nel gruppo sia difficoltà con l’etichetta discografica Rough Trade. Nonostante ciò Morrissey e Marr, lavorando assieme a Stephen Street, con The Queen Is Dead riescono a fare un deciso passo avanti. Il balzo non è tanto nella musicalità quanto nella capacità di quest’album di esprimere l’essenza stessa degli Smiths. Durante la scrittura e composizione, Marr venne influenzato dagli Stooges, dai Velvet Underground e dalla scena garage-rock di Detroit.

Il titolo avrebbe dovuto essere Margaret on the Guillotine, chiaro riferimento al Primo Ministro britannico Margaret Thatcher e alle sue politiche conservatrici. Una volta abbandonata questa idea, Morrissey lasciò che l’ispirazione arrivasse da altro. Il titolo The Queen Is Dead viene infatti dal romanzo del 1964 di Hubert Selby Jr., Ultima Fermata a Brooklyn. In particolare dal secondo capitolo, intitolato appunto È morta la Regina.

Un attacco sfacciato

The Queen is Dead è un album di svolta per svariati motivi. Sarebbe sbagliato però interpretare l’album da un punto di vista esclusivamente britannico, o meglio britannico ‘anti-sistema’. La crisi a cui allude la band è quella che coincide con il collasso delle illusioni legate alle grandi correnti libertarie degli anni precedenti. Gli Smiths fanno uscire un album che conserva un’inclinazione alla tristezza, aggiungendo una buona dose di umorismo e riferimenti politici. Viene presa di mira la Regina Elisabetta, la religione e l’industria musicale.

Nella traccia d’apertura Morrissey porta l’ascoltatore a Buckingham Palace. L’ispirazione per la canzone arriva da un fatto realmente accaduto: nel 1982 un uomo con problemi mentali riesce a infilarsi nelle stanze della Regina e pure a farsi una chiacchierata con lei. La canzone si apre con una citazione tratta da La Stanza a Forma di L, un film britannico del 1962. Questa nostalgia testimonia il profondo attaccamento al passato di Morrissey. Il frontman degli Smiths sa che non ci sarà futuro per il Regno Unito finché il paese non abbandonerà le sue illusioni di eccezionalismo.

Canzoni allegre e malinconiche

Ci sono due tipi di canzoni in The Queen Is Dead: allegre e malinconiche. Frankly, Mr. Shankly è un’ammissione del desiderio di ricevere attenzione:

Fame fame fatal fame

It can play hideous tricks on the brain

La canzone è anche la giustificazione cantata e musicata della decisione degli Smiths di rompere con l’etichetta Rough Trade e passare alla più grande EMI.

Anche Cemetry Gates è un pezzo vivace e leggero. I due protagonisti passeggiano tra le lapidi citando poesie e sfidandosi un una gara di consapevolezza della propria mortalità. Sul tetro sfondo del cimitero la loro forza vitale prevale, grazie alla letteratura. Nel testo, disseminato di citazioni, il tema che emerge ripetutamente è quello del plagio nell’arte. Il setting è ispirato dal ricordo della visita di Morrissey al Southern Cemetery di Manchester.

The Boy with the Thorn in His Side è stato descritto da Marr come “an effortless piece of music“. Il testo fa riferimento all’esperienza degli Smiths nell’industria musicale, apparentemente riluttante ad apprezzare il loro talento.

C’è poi la tetra parte dell’album dedicata a Eros e Thanatos. I Know It’s Over e There Is a Light That Never Goes Out sono entrambe canzoni d’amore (non corrisposto). La scrittura in I Know It’s Over prende il tono dall’immagine iniziale che ammicca all’ideazione suicidaria: quella del letto vuoto inteso come tomba.

The sea wants to take me

The knife wants to slit me

e alla fine arriva alla rivelazione inaspettata:

It’s so easy to laugh, it’s so easy to hate

It takes strength to be gentle and kind

In There Is a Light That Never Goes Out, il protagonista è un amore mai davvero iniziato. Nel descrivere un desiderio inappagabile che dà paradossalmente pienezza, il tono della canzone si fa quasi comico. Scappa una risatina nel visualizzare la tetra, lamentosa immagine del double-decker bus che unisce nella morte i due non-amanti.

Megafono di una generazione

The Queen is Dead continua a rappresentare la complessità di uno specifico periodo storico e culturale: un megafono che ha amplificato l’urlo di un’intera generazione.

Il suo successo, pur accompagnato da controversie legate ai sentimenti anti-monarchici che conteneva, rappresenta l’apice della carriera degli Smiths. Una parabola che, sfortunatamente, cominciò a scendere appena un anno dopo, con la pubblicazione di Strangeways Here We Come. Nel 1987 infatti Marr e Morrissey prendono due strade diverse, per ragioni ancora oggi non chiare. Quello che rimane è l’eco dell’esilio nella voce di Morrissey, il lamento senza tempo di chi desidera senza sperare e vive nel mondo sapendo di non appartenervi.

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