
Arrivata alla 79ma edizione, la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia si preannuncia come una finestra aperta sul mondo e uno degli eventi culturali più attesi dell’anno. L’edizione che si aprirà al Lido tra poche settimane, il 31 agosto, e durerà fino al 10 settembre è stata svelata in ogni dettaglio dal direttore Alberto Barbera.
Fra concorso principale e altre sezioni l’aspettativa è alta. E fra i film più attesi va annoverata l’apertura con White Noise, scritto e diretto da Noah Baumbach, con Adam Driver e Greta Gerwig. Inoltre, si assisterà al ritorno alla regia del messicano Alejandro Iñárritu, per un’opera che ha avuto cinque anni di gestazione.
Il nuovo sodalizio fra Luca Guadagnino e Timothée Chalamet, dopo il successo di Call me by your name è un altro esempio. Come il biopic di Marilyn Monroe, interpretato da Ana de Armas. O ancora il ritorno alla regia di Olivia Wilde per un film che vede la partecipazione di Harry Styles. E – novità dell’ultim’ora – la miniserie di Lars Von Trier. Sarà presente anche Martin McDonagh (Tre manifesti a Ebbing, Missouri, 2017) e Darren Aronofsky (Black Swan, 2020 e Madre!, 2017). Al Lido si vedranno grandi star, da Tilda Swinton a Anthony Hopkins, da Cate Blanchett a Hugh Jackman. E ancora Colin Farrel, Cate Blanchett, Penélope Cruz, Javier Bardem e Chris Rock.
Dal momento che il festival “non vive in una bolla”, come ha esordito Barbera in conferenza stampa, ci sarà spazio per la politica e i temi sociali. A partire dalla guerra in Ucraina, soprattutto grazie a Freedom on Fire: Ukraine’s fight for freedom. È l’instant movie di Evgeny Afineevsky, che il regista sta rifinendo con immagini che continuano ad arrivare dal fronte. Ma saranno presenti anche altri scenari di conflitto politico e sociale. A partire dall’Iran, con quattro registi tra cui Jafar Panahi, tuttora in carcere per aver girato senza l’autorizzazione del regime. Rappresentati l’Uganda e l’Indonesia, con opere che fanno i conti con un passato drammatico o un presente di lotta per la libertà.
Preparatevi perché il programma è fitto e Hypercritic lo seguirà da vicino. Ecco una sintesi di tutto quello che c’è da vedere.
Film in concorso: Venezia 79
La sezione che conferirà i premi principali della Mostra di Venezia, a partire dal Leone d’Oro, si aprirà con White Noise di Noah Baumbach. L’autore di Marriage Story (2019) torna a dirigere il suo protagonista Adam Driver, affiancato da Greta Gerwig (Piccole Donne, 2019). Il duo Baumbach-Gerwig ha già fatto la storia per essere la prima coppia candidata all’Oscar nella stessa categoria, miglior film, nel 2019. Questo non fa che accrescere le aspettative verso White Noise, adattamento dell’omonimo romanzo di Don DeLillo.

In concorso si aspetta poi il ritorno di Darren Aronofsky e il suo The Whale, con Brendan Fraser e Sadie Sink, attrice apprezzata in Stranger Things. Il film, tratto da un testo teatrale, é interamente ambientato fra le pareti di una stanza.
Dopo cinque anni di lavoro intenso torna al grande schermo Alejandro G. Iñárritu con BARDO, False Chronicle of a Handful of Truths. È un’opera-monstre di tre ore in cui il regista messicano ha concentrato tutte le sue ossessioni e incubi. “Mi ha confidato che questo lavoro ha cambiato il suo modo di sognare”, ha raccontato il direttore Barbera.
L’unica opera prima in concorso è di Alice Diop, autrice francese che arriva dal documentario. Al festival si mette alla prova in un’opera di finzione: Saint Omer. È una storia processuale che ha al centro il dramma di una madre che mette fine alla vita della figlia.
Cruz, Swinton, Blanchett, De Armas: il cinema delle protagoniste
Altro titolo in concorso dalla durata imponente, tre ore, è Tár di Todd Field. La sua protagonista è Cate Blanchett nei panni di una direttrice d’orchestra. Piccola curiosità: Blanchett ha una vasta cultura musicale e si dice che abbia realmente diretto i musicisti del film.

Cate Blanchett stars as Lydia Tár in director Todd Field’s TÁR, a Focus Features release. Credit: Florian Hoffmeister / Focus Features
Da diva in diva, uno dei due titoli che vede in scena Penélope Cruz alla Mostra di Venezia è anche una delle pellicole italiane in concorso: L’Immensità di Emanuele Crialese. L’autore mette in scena una storia adolescenziale d’ispirazione autobiografica. Altra opera italiana sarà Il Signore del Formiche di Gianni Amelio, con Luigi Lo Cascio ed Elio Germano. È una ricostruzione del caso giudiziario Braibanti, che portò alla cancellazione del reato di plagio in Italia.
Ana de Armas interpreta Marilyn Monroe nel biopic Blonde, di Andrew Dominik. In The Eternal Daughter di Joanna Hogg, Tilda Swinton è protagonista di una storia di fantasmi all’inglese, incentrata sul rapporto madre-figlia.

Timothée Chalamet torna al Lido per l’ultimo lavoro di Luca Guadagnino, Bones and All, suggellando un sodalizio amato dal pubblico già in Call me by Your Name (2017). Ma la storia che portano sullo schermo, fra gli altri con Taylor Russel e Chloë Sevigny, è del tutto diversa. Ambientata nel Midwest, è il racconto di un’America ai margini, dove è tangibile il fallimento del sogno americano. Ed è un’opera di genere, dal momento che parla anche di cannibalismo.

Kôji Fukada, autore apprezzato dalla critica ma ancora sconosciuto al pubblico, presenta a Venezia il suo quarto lungometraggio, Love Life. E sarà da vedere Athena di Romain Gavras, figlio di Costas-Gavras. Il film è scritto e diretto insieme con Ladi Ly, regista di Les Misérables (2012). Mette in scena la rivolta di una banlieue parigina a seguito dell’omicidio di un giovane. “È pirotecnico, girato come una storia di guerra o un videogame”, preannuncia Barbera.
Conflitti presenti e passati

Due i lavori iraniani in concorso alla Mostra di Venezia. Il primo è No Bears di Jafar Panahi, autore tuttora in carcere per aver girato senza l’autorizzazione del regime degli Ayatollah. Il secondo è Beyond the Wall, di Vahid Jalilvand.
The Banshees of Inisherin è il nuovo film di Martin McDonagh (Tre manifesti a Ebbing, Missouri, 2017). Si tratta di una storia alla Beckett, ambientata in Irlanda, con Colin Farrel protagonista. Florian Zeller rimane nel solco del suo premiato The Father (2020). Questa volta porta a Venezia The Son, con Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby e ancora Anthony Hopkins.

Un film “necessario, ma che nessuno aveva ancora avuto il coraggio di fare”, secondo Barbera, è Argentina, 1984 di Santiago Mitre. L’opera è incentrata sul processo alla giunta militare che ha governato con il pugno di ferro il Paese per sette anni.
Chiara, di Susanna Nicchiarelli, con Margherita Mazzucco, pone una luce inedita sul personaggio di Santa Chiara, oscurata finora da San Francesco. Altro lungometraggio italiano in concorso è Monica, di Andrea Pallaoro, con Trace Lysette. Autore internazionale e cosmopolita, Pallaoro ha girato negli Usa con un cast americano.
Attivismo e storie familiari
All the Beauty and the Bloodshed, di Laura Poitras, è l’unico documentario nella competizione principale. Racconta la vita dell’artista Nancy Goldin nella New York degli anni ’70 e ’80 e del suo impegno di attivista. Negli ultimi anni Goldin ha denunciato l’impero farmaceutico della famiglia Sackler, che ha costruito la sua ricchezza sull’Oxycontin.
A Couple di Frederick Wiseman, con Nathalie Boutefeu, ricostruisce la storia quasi sconosciuta della corrispondenza fra Leo Tolstoy e la moglie. Da queste lettere emerge un rapporto tormentato e per molti aspetti contemporaneo. Our Ties, di Roschdy Zem, racconta una storia autobiografica di famiglia. Ma è già entrato nella storia per il suo cast. È infatti il primo film a descrivere la vita di una famiglia magrebina borghese, integrata stabilmente in Francia.

Ripercorre la sua storia familiare e il suo rapporto con Jacques Audiard anche Rebecca Zlotowski in Other People’s Children.
Western e cinema orientale fra i Fuori Concorso
Fuori dal concorso principale la Mostra di Venezia offre anteprime che faranno la gioia dei cinefili di tutto il mondo. Fra questi Living, di Oliver Hermanus, un remake di Ikiru (1952) di Akira Kurosawa. Il film intende omaggiare lo sceneggiatore Kazuo Hishiguro, trasponendo la storia originale dal Giappone all’Inghilterra degli anni ’50. Una testimonianza dell’immortalità del western è Dead for a Dollar di Walter Hill, con Christoph Waltz e Willem Dafoe.
Il pubblico di Venezia potrà vedere anche l’opera postuma di Kim Ki-duk, Call of God. La pellicola è stata completata dal regista estone Arthur Weber seguendo le indicazioni lasciate dall’autore coreano. Kim Ki-duk infatti è morto per Covid nel 2020 a Riga. Del Leone d’Oro alla carriera di quest’anno, Paul Schrader, si potrà vedere Master Gardener, con Sigourney Weaver. E sempre fuori concorso, Olivia Wilde presenterà il suo secondo fim, Don’t Worry Darling. Il lungometraggio la vede dirigere la superstar Harry Styles, Florence Pugh e Chris Pine.

Fra i documentari ci sarà il già citato Freedom on Fire: Ukraine’s fight for freedom di Evgeny Afineevsky. Da non perdere sono anche Nuclear di Oliver Stone e Bobi Wine Ghetto President di Christopher Sharp e Moses Bwayo. Quest’ultimo alza il velo su una dittatura fra le più sanguinarie dell’Africa, in Uganda. La vicenda è incentrata sull’oppositore politico e rapper Bobi Wine, che sarà presente al Lido.
Fra le produzioni seriali è già alta l’attesa per la miniserie di Lars Von Trier, la terza stagione di Riget Exodus realizzata 25 anni fa.

Orizzonti lontani e realtà virtuale
Nella Orizzonti della Mostra di Venezia si concentrano temi sociali e zone di frontiera. Ne è un esempio Victim dell’ungherese Michal Blaško, che esplora il razzismo e il nazionalismo emergenti in Unione europea. Ma anche Innocence di Guy Davidi, che indaga sul numero impressionante di suicidi nell’esercito israeliano. E ancora Autobiography di Makbul Mubarak, primo film a ripercorrere la dittatura di Suharto in Indonesia.
The Happiest Man in the World, girato in Bosnia da Teona Strugar Mitevska, riprende il trauma irrisolto dell’assedio Sarajevo attraverso la storia di una coppia. The Bride, del portoghese Sérgio Tréfaut, racconta del destino incerto affrontato dalle mogli dei miliziani jihadisti.
In un festival che celebra il suo novantesimo anniversario, c’è una ricorrenza nella ricorrenza. Sono i dieci anni di Biennale College. Un’iniziativa che ha portato allo sviluppo di 84 tra film e progetti di realtà virtuale. Questi ultimi torneranno in scena nello scenario unico dell’Isola del Lazzaretto.
