The Woman King | Epopea d'azione con una coscienza sociale
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Africa Occidentale, 1823. Il Regno di Dahomey è uno stato tributario dell’Impero Oyo ed entrambi sono sull’orlo della guerra. L’impero sta pianificando di fare irruzione nei villaggi di Dahomey e vendere i prigionieri ai commercianti di schiavi europei: per proteggere il regno, le temibili Agojie, un’unità militare tutta al femminile, entra in azione.
The Woman King è più di un esempio ben strutturato di narrazione. Diretto da Gina Prince-Bythewood dalla sceneggiatura di Dana Stevens, a sua volta basata su una storia scritta insieme a Maria Bello, il film è un’epopea d’azione vivida e suggestiva. Inoltre, cerca di svelare i diversi aspetti e angolazioni della vicenda storica dell’Agojie, a partire dai loro resoconti e da quelli dei dahomeani, da fonti portoghesi e francesi.
Le Amazzoni di Dahomey
Bello ha scoperto la loro storia quando era in visita a Benin. Conosciute anche come le Amazzoni di Dahomey, erano un’armata femminile del Regno africano di Dahomey, che oggi corrisponde al Benin, nell’Africa occidentale. Note per la loro influenza, ferocia e abilità in battaglia, le Agojie sono portate sullo schermo da un cast quasi del tutto femminile e di colore guidato da Viola Davis, che insieme alla troupe di produzione è stata candidata o ha vinto diversi premi.
Prince-Bythewood è co-presidente del Directors Guild of America African American Steering Committee e si è impegnata per far avanzare i membri afroamericani della Directots Guild, per una maggiore rappresentazione delle persone di colore sullo schermo. Il film è stato girato nel Sudafrica che corrispondeva al Dahomey a inizio 1800: Prince-Bythewood, che ha diretto nel 2020 The Old Guard, cita tra le sue influenze film come Braveheart e Il Gladiatore. In The Woman King, il lavoro dietro le quinte sui costumi e la fotografia porta in vita una cultura raramente vista nei media popolari.
Il viaggio dell’eroina
The Woman King segue il viaggio d’iniziazione della giovane Nawi (Thuso Mbedu) in questa comunità elitaria di guerriere. Ripudiata dal padre per il suo rifiuto di sposarsi, Nawi si sottopone a un programma di addestramento intensivo con le Agojie, sotto la guida di Izogie (Lashana Lynch). A guidare le truppe con mano ferma e saggia è la Generale Nanisca (Viola Davis), candidata a diventare la prossima Donna re. È una figura leggendaria chiamata da Re Ghezo (John Boyega) a condividere le responsabilità della corona in tempi di grandi pericoli e cambiamenti senza precedenti. Uno dei pochi attori bianchi è Hero Beauregard Fiennes Tiffin, che ha precedentemente interpretato il giovane Lord Voldemort in Harry Potter- Il principe mezzosangue e che ora è uno schiavo portoghese.
Per la sua interpretazione di Nanisca, Viola Davis è stata nominata Miglior attrice ai Golden Globe Awards, agli Screen Actors Guild Awards, ai BAFTA Awards e NAACP Image Awards. Inoltre, The Woman King è stato incluso nella Top 10 dei film dell’anno dell’AFI.
Diventare una Agojie
Noi siamo Agojie. Non agiamo da sole. Ci muoviamo insieme con uno scopo.
Generale Nanisca (Viola Davis)
In superficie, la trama di The woman king segue la classica storia di una giovane eroina che intraprende la via dei guerrieri. All’inizio, il temperamento sfacciato e impulsivo di Nawi le rende difficile seguire le regole e integrarsi nell’esercito. Ma alla fine, si dimostra capace di lottare e difendere il suo popolo sviluppando adattabilità, resilienza e furtività. Matura e il suo spirito si fortifica, rendendola una vera guerriera Agojie.
Gli elementi, raccontati dalla prospettiva femminile, danno profondità, verosimiglianza e struttura alla trama. L’esperienza di Nawi offre uno squarcio sull’ambiente chiuso delle Agojie. Queste soldatesse vivevano all’interno delle mura del palazzo, nascoste da tutto. Seguendo Nawi, lo spettatore scopre le attività quotidiane che accompagnano l’addestramento, dal limarsi le unghie a cospargere il corpo d’olio prima della battaglia. Mentre la telecamera si immerge in profondità nel palazzo, lo spettatore entra a contatto con le pratiche e le relazioni sociali delle Agojie.
Per essere una di loro non basta saper combattere. Queste guerriere si interrogano sulla perdita, sui sacrifici della maternità, sullo stupro in tempo di guerra e sul significato della sorellanza. Molte parole pronunciate dalle guerriere e delle questioni sollevate attraversano lo schermo, dimostrando di trascendere il tempo e lo spazio cinematografico per risuonare a livello universale. Questi strati sociologici dipingono il ritratto di una comunità femminile significativa non solo per ragioni storiche, ma anche come rappresentazione delle lotte di oggi.
Epopea d’azione con coscienza sociale
The Woman King ha ricevuto un notevole consenso non solo come film d’azione, ma anche per i suoi aspetti socialmente consapevoli. “È un’epopea che fa impazzire il pubblico: pensate a Braveheart con le donne nere”, ha scritto Lovia Gyarke su Hollywood Reporter. Si allontana dai tipici film di intrattenimento affrontando un tema raro nel cinema occidentale: il superamento della schiavitù, nel caso delle Agojie sia da parte dei Dahomeani, sia da parte degli schiavisti portoghesi. Gina Prince-Bythewood incoraggia lo spettatore a immergersi nella storia di un gruppo di donne di colore e sentire quello che provano.
La regista spiega di essersi sentita in dovere di interrompere la tendenza a sottovalutare le artiste di colore. Per Davis, il film offre alle giovani donne di colore una storia in cui potersi identificare. Il risultato è un film dirompente, interpretato da un cast prevalentemente di colore, per lo più femminile, che conferma quanto siano cruciali le narrazioni visive nel formare le convinzioni e gli atteggiamenti culturali sulla razza. The Woman King riesce a rappresentare un forte gruppo di donne di colore non solo per la loro abilità in battaglia ma perché le loro voci sono importanti. Le azioni delle Agojie possono influenzare le decisioni del re: The Woman King promuove anche la leadership delle donne nere.
Infine, il film si allontana da un’altra tendenza di Hollywood, il ricorso a filtri colorati per identificare paesi stranieri. The Woman King ha colori brillanti e fa ampio ricorso all’oscurità e alle scene notturne. Luci blu e sfondi scuri giocano con i riflessi sulla pelle scura. Un effetto visto anche in Moonlight (2016) di Barry Jenkins.
I costumi, un frammento della cultura Agojie
Uno dei punti di forza è lo studio dei costumi, realizzati con splendidi tessuti colorati. Alla base c’è una ricerca su modelli storici. La costumista Gersha Philips ha studiato gli archivi dei veri abiti indossati dai guerrieri Agojie in Africa Occidentale. Inoltre, alcune creazioni hanno mobilitato maestranze tradizionali e locali. Un artigiano del Gambia ha realizzato le stampe indaco nel proprio giardino.
Gli abiti sono uno degli attributi culturali che rappresentano il ruolo di ciascun personaggio nella società. Il re regalava alle Agojie conchiglie quando vincevano le battaglie. Philips le ha incorporate nei costumi, nei copricapi, nei bracciali e cinture. La costumista ha dato spazio alle scelte degli attori per i loro accessori. Gli abiti rispecchiano lo status sociale: quelli indossati da Nanisca sono più elaborati, per indicare il suo rango; i ricami di Amenza (Sheila Atim) sono bianchi per esaltare la spiritualità.
Romanzare o distorcere la storia?
Al momento dell’uscita, tuttavia, The Woman King ha suscitato critiche per la sua rappresentazione del popolo e della storia dell’Africa Occidentale. Hollywood Reporter afferma che “inizia con un ritratto, ma poi si arrende al melodramma”. Alcuni critici hanno segnalato la tendenza a raccontare l’identità africana come se fosse uniforme, appiattendo la diversità di un continente di 54 Stati e 30 milioni di chilometri quadrati. Ad esempio, sono stati criticati gli accenti degli attori, non sempre accurati e a volte esagerati.
Inoltre, il pubblico ha contestato l’accuratezza storica degli eventi del film. Gli spettatori hanno messo in discussione l’interpretazione romanzata della tratta atlantica degli schiavi. Nel film, le Agojie si organizzano per combattere la schiavitù e si rifiutano di collaborare con i colonizzatori. Tuttavia, i critici fanno notare che il Regno di Dahomey ha continuato a vendere schiavi ed è stato colonizzato dai francesi solo alla fine del XIX secolo. “Il film tende al fantastico nei suoi momenti eroici, ma è realistico sulla guerra, la brutalità e la libertà”, scrive la BBC.
Invito al boicottaggio
Sui social media si è perfino creato un movimento per boicottare il film, con l’hashtag #boycottWomanKing. Sia Davis che il marito e socio produttore, Julius Tennon, hanno difeso la scelta del regista in un’intervista a Variety, sostenendo che il film si inserisce in un momento storico in cui il regno stava ancora decidendo il suo destino.
Siamo entrati nella storia quando il regno era in crisi, a un bivio. Stava cercando di trovare un modo per mantenere in vita la civiltà e il regno. Solo alla fine del 1800 furono decimati. La maggior parte della storia è romanzata. Deve esserlo.
Viola Davis in un intervista per Variety
The Woman King appartiene al genere della storia alternativa, una storia romanzata che si discosta dai fatti storici per proporre una versione alternativa credibile degli eventi. Altri film di finzione trattano il tema della schiavitù, come 12 Anni schiavo (2013) di Steve McQueen o Django Unchained (2012) di Quentin Tarantino, e non hanno subito un simile contraccolpo. Le recensioni della CNN e dell’Independent suggeriscono che questa opposizione sia un rifiuto indiretto della forte dimensione femminile, una novità rispetto alle opere citate.
La ricerca e rappresentazione delle storie locali
L’attrice protagonista Viola Davis ha dichiarato che The Woman King non è rivolto esclusivamente ai consumatori di colore perché, in fondo, è una storia sull’umanità.
Una cosa però è certa. L’eccezionale ritratto di questa comunità etnica può ispirare altre storie a emergere: per esempio nel Sud-Est asiatico, in America Latina e in Medio Oriente. È un incentivo ad attingere agli archivi e alle note antropologiche su costumi, tessuti tradizionali, gastronomia, strutture politiche ed economie locali. Un modo per salvarle, documentarle e trasmetterle sullo schermo per le generazioni future.
In conclusione, The Woman King si è preso il tempo di raccontare una storia del passato per puntare a un obiettivo contemporaneo: offrire un’epopea socialmente consapevole e rappresentazione alle donne di colore nell’industria cinematografica.
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