Icons di Steve McCurry | L'umanità al centro della fotografia
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La mostra Il mondo di McCurry presenta una selezione dell’ampia opera del fotografo americano Steve McCurry (Philadelphia, 1950). L’esposizione è curata da Biba Giacchetti, fondatrice dell’agenzia fotografica Sudest57. Si compone di 150 fotografie stampate in formato grande, scattate durante la carriera quarantennale di McCurry. La mostra originale è stata presentata a Parigi al Museo Maillol. È in tournée in Europa con il titolo Icons.
I primi lavori fotogiornalistici di McCurry
La visita inizia da una serie di immagini in bianco e nero, che risalgono a quando McCurry era un giovane reporter. Sono ritratti da cui trasuda nostalgia. Scene candide di ragazzi che giocano e fanno quasi dimenticare il contesto in cui queste foto sono state scattate: l‘Afghanistan degli anni Ottanta. In quel periodo, McCurry è un fotoreporter indipendente, inviato da una rivista americana, in cerca di un’avventura e una grande storia da raccontare. Si dirige verso l’Asia meridionale: non sa ancora della guerra in Afghanistan. Ma in Pakistan incontra due rifugiati afghani che lo accompagnano di nascosto a Nuristan, la prima regione a sollevarsi contro il regime di Kabul, sostenuto dai sovietici.
Durante l’invasione sovietica del 1979, il fotografo viaggia con i mujahidin afghani, che presenta sotto una luce umana, persino artistica. Nelle immagini si apprezzano la compostezza e gli abiti tribali dei ribelli. Tuttavia, la presenza delle armi, munizioni e coltelli ricorda allo spettatore la gravità del soggetto. Una fotografia mostra un uomo pregare, catturando l’intensità della fede che spinge questi miliziani.
Ragazza afghana
Il pezzo centrale della mostra è uno dei ritratti più iconici di tutti i tempi, Ragazza afghana. McCurry la scatta nel 1984 in un campo profughi del Pakistan. L’immagine ritrae una giovane donna con occhi profondi e verdi; la testa coperta da uno scialle rosso sgualcito. La foto appare sulla copertina di National Geographic nel Giugno del 1985. Da allora diventa una simbolo dei rifugiati in fuga dalla guerra. La foto ha rivela il tentativo dei sovietici di sopprimere il sostegno civile dei mujahidin, bombardando e spopolando le aree rurali. Una tragedia che ha comportato la fuga di 2,8 milioni di afghani in Pakistan nel 1982.
Tuttavia, al tempo, la fulgida bellezza di quella ragazza non aveva nemmeno un nome. Il fuoco nei suoi occhi cattura l’attenzione del pubblico al punto tale che McCurry 17 anni dopo torna a cercarla. È l’aprile del 2002 quando ritrova Sharbat Gula. McCurry le scatta una seconda foto, che mostra tutti i segni del tempo e delle difficoltà attravesate. “Ma è sorprendente come lo era tanti anni fa”, commenta McCurry. Il fotografo scopre che Gula è vissuta in Pakistan fino al 2017, quando viene deportata di nuovo in Afghanistan. Nel 2021 l’Italia le garantisce lo status di rifugiata in Italia, dopo la presa di potere dei talebani.
Primo piano sulla diversa natura del genere umano
Dopo la serie monocromatica, la visita si apre verso un’esplosione di colori in una serie di grandi ritratti. Il pubblico può guardare gli scatti di un’umanità diversa, dall’Afghanistan all’India, da Cuba agli Stati Uniti, dal Brasile all’Italia.
McCurry cattura gli esseri umani in tutti i loro diversi aspetti. Il primo che balza alla vista, mentre si guarda a questi individui vestiti in abiti tradizionali, è la ricchezza delle espressioni culturali. Pigmenti colorati coprono volti e corpi.
McCurry riesce a catturare gli occhi pieni di vita dei suoi soggetti. In ogni foto, i loro sguardi sembrano trapassare la fotocamera per conversare con lo spettatore. Probabilmente, queste espressioni facciali sono così facilmente decifrabili perché gli esseri umani sono fondamentalmente uguali. Esistono solo piccole variazioni, che siano nella pigmentazione della pelle o nella struttura dei volti.
Con mezzi diversi è lo stesso risultato ottenuto da Human, un progetto del regista, artista e ambientalista francese Yann Arthus-Bertrand, che mostra ritratti mozzafiato. Il documentario Human, uscito nel 2015, raccoglie la storia vera di oltre duemila donne e uomini da 60 Paesi. Una lunga carrellata di primi piani. Questi ritratti animati raccontano storie struggenti, lasciando lo spettatore in uno stato di sospensione, mentre si interroga sulla condizione umana, contemplando riprese aeree del pianeta.
McCurry sostiene il peso della testimonianza
In seguito, la visita prende una strada più oscura, poiché la mostra presenta il lato opposto della medaglia. Questa parte raccoglie testimonianza di disastri umani e ambientali. Esplosioni, fuoco, fumo, chiazze di petrolio illustrano le conseguenze di una politica scellerata, della guerra e della cattivea gestione ambientale. Problemi strettamente correlati, come dimostra il caso del Kuwait, quando la decisione di Saddam Hussein di incendiare le riserve di petrolio ha provocato un disastro ecologico.
La civiltà umana non solo è in guerra contro la natura, ma anche contro se stessa. Come sostenuto da Samuel P. Huntington nel suo libro Lo scontro delle civiltà del 1996, dal crollo del comunismo i conflitti si sono fatti più frequenti tra le civiltà. Dove per “civiltà” s’intende un gruppo di persone che si identifica per storia, cultura e religione.
Il fotografo McCurry ha immortalato gli istanti dopo il crollo delle Torri Gemelle a New York. Molti considerano questo attacco come una delle cause scatenanti della guerra globale al terrorismo, guidata dagli americani. Altri confutano la teoria di Huntington, negando lo scontro di civiltà in corso.
In ogni caso, questa catastrofe tocca da vicino McCurry. Il fotogiornalista è un testimone degli eventi: anche se è coinvolto emotivamente, il suo dovere è raccontare una verità, cruda e immediata. Nel documentario Il sale della terra (2015), il collega Sebastião Salgado ha raccontato l’impatto emotivo che ha avuto su di lui ritrarre il genocidio in Ruanda. Solo la natura lo ha guarito dalla malattia in cui era caduto quando ha incontrato l’abisso della natura umana. E questo lo ha portato a reindirizzare il suo impegno verso la consapevolezza ambientale.
Il fotografo, un narratore obiettivo
Il lavoro di un fotoreporter è quello di catturare il mondo attraverso l’obiettivo. Osservare sia i lati oscuri sia quelli illuminati dell’umanità. Per Steve McCurry, a volte i luoghi più iconici possono essere i più difficili da fotografare. Per esempio, racconta di quando ha visitato il Taj Mahal, una delle sette meraviglie del mondo. Sono rare le persone che non hanno mai visto una sua foto. Quindi, per ravvivare l’interesse del pubblico, per produrre una fotografia coinvolgente, ha dovuto cercare nuove angolazioni e modi per presentarla. Ha realizzato uno scatto speciale a un uomo chinato sul riflesso del Taj Mahal in un fiume vicino.
McCurry è determinato a cercare lo scatto perfetto. Torna una, due o più volte nella stessa settimana per ottenere la scena che ha in mente. Studia nel dettaglio la luce e la composizione. Un occhio attento riconoscerà uno schema in tutta la serie di lavori esposti. McCurry mette sempre il soggetto vivente al centro delle sue foto. La messa in scena circonda il volto di un bambino, una silhouette o a volte un animale. I paesaggi non sono mai veramente vuoti. Le cornici segnalano sempre la presenza dell’artista e il suo modo di vedere il mondo.
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