Grosse fatigue | La natura inesauribile della conoscienza
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Per la Biennale di Venezia 55, diretta da Massimiliano Gioni, l’artista francese Camille Henrot ha presentato Grosse Fatigue all’Arsenale, vincendo il Leone d’argento. Il suo film è stato realizzato nel quadro dello Smithsonian Artist Research Fellowship Program a Washington, D.C.
Campioni di caos: l’esperienza della densità
Grosse Fatigue è film a colori di 13 minuti ambientato sullo schermo di un computer. Segni, testi, immagini e suoni fungono da coreografia nel film. L’opera diventa un’esperienza fisica. Attraverso salvaschermi e finestre windows pop-up, il film espone il caos del web. La colonna portante di Grosse Fatigue è un lungo poema recitato in spoken word – antenata della musica hip-hop – la tipica forma espressiva utilizzata negli anni Settanta dal gruppo musicale newyorkese The Last Poets. La composizione musicale di Joakim Bouaziz, una colonna sonora slam beat, incontra la voce narrante fuori campo di Akwetey Orraca-Tetteh, (membro di Dragon of Zynth).
Questa unione crea un campionamento visivo, una disperata invocazione: una sorta di inno che ha origine dalla collaborazione con l’artista e scrittore Jacob Bromberg. Combina la storia scientifica con i racconti della Creazione appartenenti a tradizioni religiose (induista, buddista, ebraica, cristiana, islamica), dottrine (cabala, massoneria) e tradizioni orali (Dogon, Inuït, Navajo).
World Wide Wunderkammer
Grosse Fatigue comincia con un file di Final Cut Pro aperto sullo sfondo di una fotografia della galassia di Andromeda. Un flusso di finestre va e viene, dispiegando uno strato di immagini sullo schermo. In alto appare una pagina di ricerca di Google, su cui qualcuno digita “la storia dell’universo“. Segue una danza d’immagini che vanno dalle colonie di alghe verdi, ai vertebrati, agli uccelli, ai primati e ai marsupiali. Due corpi nudi sotto la doccia, una tabella di colori, cassetti pieni di animali imbalsamati, schiuma di mare e i corridoi dello Smithsonian Institute. Una rana seduta su un iPhone.
Compresse effervescenti, marmi multicolorati, un dipinto gocciolante di Pollock, una testa fatta di bolle di Charles Darwin, L’origine delle specie, schizzi di sapone. Mappe di Wikipedia. Fossili, ossa e sabbia. Un cerchio Zen dipinto mentre viene dipinto, così come racconta il mito, contraddicendosi a vicenda. SALVA IL NOSTRO PASSATO PER IL FUTURO, scritto in grassetto su un poster. Mentre la voce fuori campo continua su un ritmo hip-hop, queste finestre rappresentano narrazioni della creazione in una sintesi vertiginosa.
Collisioni, il metodo di Warburg
Grosse Fatigue in francese significa depressione. Quest’opera audiovisiva racconta la storia dell’attività maniacale del collezionismo. Mostra l’ambizione di un’istituzione di rappresentare tutto. Reinterpreta il museo come un sistema umano guidato da ansia e nevrosi. In questa energia maniacale, c’è la paura della morte che l’uomo sostituisce con gli oggetti.
L’ansioso desiderio di collezionare si incontra con il fascino di questa malattia dell’accumulo. Quasi come se fosse mosso dallo stesso impulso del personaggio di Johann Wolfgang von Goethe, il Dottor Faust. Sperimentando la sopraffazione che si prova esplorando il database del sito web dello Smithsonian, Camille Henrot si concentra su malattia, nevrosi e mania. Henrot esibisce una serie di immagini assemblate in un sistema di significati paragonabile a quello del teorico tedesco Aby Warbur, che ha cambiato l’approccio alla storia dell’arte e al nostro modo di considerare l’arte contemporanea.
Secondo il principio delle affinità elettive, il desiderio, il pathos e l’accumulo evocano i principi di Mnemosyne, L’Atlante delle immagini (1924-29) e delle lavagne di Warburg. Più di ottant’anni dopo, nello stesso modo, le “finestre” sul desktop di Grosse Fatigue aprono alla possibilità di un nuovo modo di rappresentare l’eccesso di conoscenza. Mostrano l’incapacità della mente umana di organizzarla. Il metodo di Warburg prevedeva il concetto della connessione: quelle associazioni e quei riferimenti visivi incrociati ne fanno – in fondo – il padre dell’ipertesto.
Costellazioni contemporanee e senza tempo
Camille Henrot incarna la ricerca come movimento proprio perché ha vissuto questa profonda immersione visiva. C’è una certa plasticità di significato intrinseca in ogni uso del suo lessico.
L’ossessione presuppone dei luoghi: lo spazio in cui avviene la conoscenza accidentale. I ricercatori inseguono qualcosa che non hanno, che sfugge loro, che desiderano. La ricerca è un’impresa che si ripete e si riavvia continuamente, entrando nuovamente in crisi.
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