Cuore selvaggio | Un amore assordante in un mondo pieno di furia
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Cuore selvaggio è uno dei film più vivaci di David Lynch, ma anche uno dei più difficili da apprezzare. Adattamento dell’omonimo romanzo di Barry Gifford, alla sua uscita il film fu accolto in maniera tiepida, proprio mentre la serie televisiva di Lynch Twin Peaks stava conquistando il pubblico di tutto il mondo. Prima ancora, per via della sua natura esagerata e irregolare, fu insignito di una criticata Palma d’Oro al 43° Festival di Cannes da un entusiasta Bernardo Bertolucci, presidente della giuria. Ciononostante, Cuore selvaggio offre (a chi lo accoglie) un viaggio cinematografico che non ha perso un grammo della sua forza espressiva col passare del tempo.
Sailor (Nicolas Cage) e Lula (Laura Dern) si amano alla follia. La madre di lei, Marietta (Diane Ladd), autoritaria e criminale, vuole Sailor morto. Quando i due innamorati colgono l’occasione e scappano in auto diretti verso la California, Marietta sguinzaglia i suoi amanti gangster per fermarli, dando inizio a un violento e grottesco inseguimento attraverso il sud degli Stati Uniti.
Musica, risate e una scorpacciata di ultraviolenza
Con Cuore selvaggio Lynch si è spinto oltre i suoi limiti in termini di raffinatezza formale e surrealismo. Sebbene la pellicola preannunci l’approccio sperimentale delle opere successive del regista, l’attitudine resta perlopiù ludica.
Sulla falsariga di Twin Peaks, il film deve parte della sua stranezza a tutti i suoi omaggi ironici alla cultura popolare americana. Il pastiche diventa evidente osservando i personaggi. Sailor e Lula reinterpretano Elvis Presley e Marylin Monroe, mentre Marietta è una parodica decostruzione delle femme fatale hollywoodiane. La recitazione sopra le righe degli interpreti rende il tutto ancor più esplicito, con Cage che canta persino Love Me, la hit di Presley, in un bizzarro intermezzo musical. Ma non è tutto.
Mentre la trama alterna Eros e Thanatos, la colonna sonora passa senza soluzione di continuità tra i generi musicali più disparati: soft rock, thrash metal, bebop, Richard Strauss e, naturalmente, il “Re del Rock and Roll”. Le oscillazioni di tono, mood e ritmo sono costanti. Attraverso tutte le sue contraddizioni, la pellicola ambisce a ribaltare e rompere i confini tra tutti i generi.
Col suo costante ricorso al patchwork e la sua avversione per il benessere umano sullo schermo, Cuore selvaggio ha agghindato il cinema indipendente americano per un debutto ultra-violento: Quentin Tarantino.
“È un mondo cattivo, senza pietà, con dentro un cuore selvaggio”
Cuore selvaggio è un film pieno di fragore e di furia, con effetti quasi stordenti. E poiché resta, nel cuore, un thriller, la sua “ferocia da cartone animato” (come l’ha definita il critico Derek Malcolm) non si limita allo stile e alla sperimentazione, ma esprime il suo pieno potenziale nella rappresentazione iperbolica della violenza, aberrante e grottesca allo stesso tempo.
Dai massacri a mani nude agli incidenti stradali alla J. G. Ballard, la violenza esplode lungo tutto il film. Le sue apparizioni sono di breve durata, poche e distanti tra loro, ma comunque scioccanti. La morte potrebbe irrompere nella fuga d’amore in qualsiasi momento e, di conseguenza, nella sua violenza surreale il mondo assume le sembianze di un incubo.
L’unico modo che i protagonisti trovano per schivare tutto questo è l’escapismo. L’eroina, in particolare, tenta di trasfigurare la realtà nella più gestibile fantasia de Il Mago di Oz, al punto che alcuni dei personaggi del film ricalcano quelli del libro. Ma a spiccare, in mezzo alla parata di caricature felliniane che ne risulta, sarà sempre la madre stregonesca e malvagia. La trama assume presto una dimensione psicanalitica, configurandosi come la rappresentazione di un complesso di Elettra. La resa dei conti sarà inevitabile: l’amore aiuterà a crescere?
Vivere fuori dal mondo, amare sulla strada
Fin dai titoli di testa, messi in moto dall’accensione di un fiammifero, il fuoco funge da leitmotif visivo per l’intero film. Esso allude al mondo infernale da cui i due amanti bramano di fuggire, ma è soprattutto impiegato in riferimento all’ovvia metafora dell’amore come passione bruciante. La chiarezza del luogo comune ha uno scopo preciso: dare a chi guarda qualcosa a cui aggrapparsi in questa odissea postmoderna.
Cuore selvaggio è un road movie che non porta da nessuna parte. Nel libro-intervista Lynch on Lynch, il regista spiega la ricorrenza della strada come metafora nelle sue opere sostenendo che le strade, come i film, offrono un affascinante viaggio verso l’ignoto. In questo caso, per una volta, il viaggio non è fatto in solitaria.
In mezzo a tutta la ferocia e la stravaganza, il film riesce a trasmettere un po’ di ottimismo. Cuore selvaggio ribalta il genere on-the-road per restare fedele alla sua essenza: è il viaggio che conta, non la destinazione, per via della persona con cui lo si intraprende.
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