Jeta de santo di Mario Santiago Papasquiaro | Poeta beat
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Una filologia del disordine: Jeta de santo (Faccia da santo) è l’antologia del 2008 che meglio raccoglie le poesie scritte e declamate da Mario Santiago Papasquiaro tra il 1974 e il 1997, e che spera di raccontare, per quanto possibile, la vita di una delle figure più istrioniche della letteratura latinoamericana di fine Novecento attraverso i suoi versi.
Se negli anni Ottanta e Novanta la cultura statunitense, e di conseguenza europea, avesse scoperto Papasquiaro, sarebbe stata un’icona del rock. I suoi versi sarebbero stati citati in canzoni, film giovanili, poster, scritti sui muri delle città. Eccolo, il Neal Cassady latinoamericano, figlio della letteratura beat, della poesia orale sperimentale e d’avanguardia.
Nato il 25 dicembre del 1953 a Città del Messico, il suo nome di nascita è José Alfredo Zendejas Pineda. Il panorama letterario europeo è probabile lo conosca più con il nome di Ulises Lima, suo alter-ego protagonista ed eroe anticonformista de I detective selvaggi di Roberto Bolaño, migliore amico del poeta.
Papasquiaro e la nascita dell’infrarealismo
Ne I detective selvaggi viene dipinta la personalità di Papasquiaro/Ulises Lima. Insofferente ai dogmi letterari che circolavano negli ambienti accademici dell’UNAM, l’Università di Città del Messico da lui frequentata, e alla poesia “ufficiale” messicana allora rappresentata da Octavio Paz, Papasquiaro nutre una sensibilità poco conciliabile con le atmosfere rarefatte e conservatrici di quegli ambienti.
Irrequieto e vitale, conosce il giovane Bolaño al Cafe La Habana nel 1975. Dopo aver frequentato assieme il laboratorio di poesia della Casa del Lago decidono di far nascere un proprio movimento poetico: l’infrarealismo. Si rifacevano ai surrealisti francesi, al Dada, al situazionismo delle prime avanguardie europee, alla poesia di Efrain Huerta. Le loro storie, però, s’inerpicano negli angoli più remoti dell’America Latina: vecchie bettole del Distrito Federal frequentate da poeti ubriachi affacciate su dissestate strade di provincia, sogni di rivoluzione ed epiche gesta di resistenza nelle università occupate in Messico e in Cile.
Un animo inquieto e “maledetto”
Ma Papasquiaro è anche un’anima inquieta. Lo troviamo dal 1977 a Barcellona con Bruno Montané e Bolaño in nome dell’infrarealismo, poi vagabondo a Parigi, e ancora presso un kibbutz a Gerusalemme ospitato dalla poetessa argentina Claudia Kerik, infine senza un soldo a Vienna. Ha un carattere estremamente complesso: chiunque l’abbia conosciuto ne ha parlato senza usare mezzi termini. Un genio, tra le luci e le ombre di una mente che non prevede limiti. Non poche sono state ad esempio le problematiche legate al suo difficile rapporto con le donne. Così racconta Guadalupe Pita Ochoa, una delle fondatrici dell’infrarealismo che con Papasquiaro ebbe una relazione:
Diciamo che ci sono molti Mario. Ci fece scoprire un altro modo di fare poesia: era un vero erudito, di una gentilezza speciale. I primi poeti beat li scoprii grazie alle sue traduzioni. Poteva essere molto gentile, ma anche molto scontroso. L’alcol e le droghe gli procuravano scarsa capacità di gestire le emozioni e poteva diventare violento e pesante. Per tutta la vita ebbe pessimi rapporti con le donne. Anche se non posso dire mi abbia aggredito, non gli perdono il fatto di aver distrutto la vita di molte. Sono dell’idea che continueremo ad amare il Mario meraviglioso, ma non possiamo negare questi chiaroscuri. Credo che in molte delle sue poesie potesse arrivare all’eccellenza quasi senza sforzarsi.
Nel 1998 muore nel DF in un incidente stradale. Soltanto dieci anni dopo il Fondo de Cultura Económica ha tentato di raccogliere i suoi scritti in un’antologia chiamata Jeta de santo. In Italia è ancora inedito.
Jeta de santo: la raccolta postuma
Pubblicata nel 2008, Jeta de santo è il tentativo di garantire un corpus alle poesie scritte da Mario Santiago Papasquiaro nel corso della sua vita. Suddiviso in cinque capitoli, al loro interno sono state inserite le poesie più significative di un autore tendenzialmente grafomane. Fra le più celebri troviamo Consejos de un discípulo de Marx a un fanático de Heidegger e la Cancion implacable, con il dissacrante incipit Me cago en Dios/ & en todos sus muertos.
La raccolta è caratterizzata da un linguaggio crudo e diretto, irriverente e blasfemo. Che poi sia un attacco alla Santa chiesa della Poesia o al Dio cristiano per Mario Santiago poco importa. I suoi testi sono scanditi da ritmi frenetici e privi di qualsiasi norma sintattica e, non di rado, grammaticale, secondo la lezione della poesia beat. Dada e surrealisti sono invece i neologismi nati da declinazioni di parole e verbi esasperati fino al grottesco. Alcuni esempi sono il verbo «salsaborrachean» (da una salsa messicana di peperoncini e birra) o il superlativo «nietzchenísimas» utilizzati in Si he de vivir que sea sin timón & el delirio.
La poesía sale de mi boca,
de mis puños, de cada poro
resuelto de mi piel /
de éste mi lugar volátil, aleatorio /
testiculariamente ubicado /
afilando su daga / sus irritaciones
su propensión manifiesta a
estallar / & encender la mecha
en 1 clima refrigerador
donde ni FUS ni FAS
ni mechas ni mechones
ni un solo constipado
que merezca llamarse constipado,
ni 1 solo caso de Fiebre-Fiebre
digno de consignarse en este
mi inmóvil país
(Da La poesía sale de mi boca, 1974)
Tra star del rock e poeti
A popolare i racconti di Papasquiaro sono invece esseri umani dalle trasgressioni demoniache (come la scena di un Mick Jagger che canta in duetto con Lucifero), storici poeti latinoamericani come l’autore messicano José Revueltas, colti in una dimensione surreale. Figure di una cultura già storicizzata e accademica si ritrovano perciò a convivere nel folle linguaggio di Papasquiaro con i frontman del rock psichedelico di quegli anni, come l’amato Jim Morrison. Non mancano momenti più riflessivi nei testi del messicano, spesso rigettati nell’ironico disprezzo verso un dolore mai conforme alle sue tradizionali connotazioni emotive e sensoriali:
[…]
—Somos actores de actos infinitos& no precisamente bajo la lengua azul
de los reflectores cinematográficos—
[…]
(Da Consejos de un discípulo de Marx a un fanático de Heidegger, 1997)
La poesia come sacrificio
Per Papasquiaro la poesia è uno straziante gioco della vita che permette di stravolgere una realtà precaria e sfuggente. Realtà, al contempo, manifestata nella sua brutale e trasparente crudezza. Così la sua poesia è anche il mezzo per offrire il suo corpo al tempo: nudo, stravolto dalle intemperie, dai nomadismi, dalla fame, dall’alcool. Felicemente umiliato e sacrificato, sempre con le viscere ben esposte sul tavolo.
La vita-poema di Mario Santiago è incarnata nei suoi versi. Epici sono stati i suoi incontri, i suoi agnostici pellegrinaggi, la sua vita nomade in giro per l’Europa. È in Papasquiaro che l’infrarealismo, o, per dirla alla Bolaño, il realivisceralismo, assume le sue connotazioni più spontanee e anarchiche.
La raccolta di Papasquiaro potrebbe squarciare il panorama della lirica in lingua spagnola finora pubblicata in Italia e, inoltre, potrebbe permettere una rinnovata apertura verso il panorama culturale, sociale e politico underground formatosi in quegli anni post-sessantottini nelle regioni dell’America Latina, nel segno dell’infrarealismo.
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