
Queer | Guadagnino e Daniel Craig al bivio tra solitudine e desiderio
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Per il regista italiano Luca Guadagnino, Queer non è solo un adattamento cinematografico, ma la realizzazione di un progetto artistico che ha coltivato per tutta la vita. Quando si è imbattuto per la prima volta nel romanzo breve di William S. Burroughs del 1985 era un adolescente che viveva a Palermo, in Sicilia. Il libro lo colpì profondamente, affascinandolo grazie ai suoi temi: alienazione, desiderio e fragilità. La lettura travolgente del romanzo accese in lui il sogno di portarlo un giorno sul grande schermo.
Dalla storia romantica e soleggiata di Call Me By Your Name (2017) alla brillante rivisitazione di Suspiria (2018), passando per l’inquietante Bones and All (2022) e il sensuale gioco di corte di Challengers (2024), Guadagnino ritorna alla storia che che ha segnato i primi passi del suo percorso da regista. Queer rivela il vero spirito di Burroughs, “romantico e alla ricerca d’amore”, come l’ha definito Guadagnino stesso. Presentato in anteprima all’81esima Mostra del Cinema di Venezia, il film esplora il desiderio di connessione umana e di riconoscimento, in particolar modo attraverso la lente dell’esperienza queer del desiderio non corrisposto.
- L’Adattamento dell’Opera Incompiuta di Burroughs
- Un Amore Velenoso
- Sotto la Sua Pelle
- L’Artificio della Mascolinità
- Un Racconto per Immagini
- L’Universo Sonoro del Desiderio
L’Adattamento dell’opera incompiuta di Burroughs
Guadagnino ha cominciato a lavorare all’adattamento di Queer, storia semi-autobiografica di Burroughs, quando aveva appena 21 anni. Ma è stato con lo sceneggiatore Justin Kuritzkes che ha trovato una comunione d’intenti, iniziando a dar forma insieme a lui a un film che oscilla senza sosta tra realtà e allucinazione.
L’opera incompiuta di Burroughs, composta tra il 1951 e il 1953, ma pubblicata solo nel 1985, presentava una sfida cruciale: trovare un finale all’altezza di un romanzo che è stato un pilastro della controcultura della Beat Generation. Rifacendosi alle sue radici letterarie, il film si sviluppa in tre capitoli e un epilogo, tingendo la sua odissea febbrile con un intenso senso di alienazione.
Un amore velenoso
Città del Messico negli anni ’50 può sembrare terribilmente solitaria per persone come William Lee (Daniel Craig), un espatriato americano sulla quarantina che ha lasciato gli Stati Uniti per sfuggire a problemi legali e alimentare la sua dipendenza da eroina. Con una pistola stretta in una mano e il cuore nell’altra, Lee vaga tra bar che somigliano a non-luoghi, distanti dalla realtà, cercando di attenuare la sua disperata solitudine attraverso legami effimeri. Locali come “Ship Ahoy” e “Lola” diventano rifugi temporanei per gli emarginati, dove nascono fugaci relazioni che finiscono solo per rafforzare il senso opprimente di isolamento.
Lee inventa quelle che lui stesso definisce routine frenetiche e magnetiche, al tempo stesso affascinanti e irritanti, destinate a un pubblico di cui ha disperatamente bisogno per soddisfare il suo bisogno di connessione e riconoscimento. Il più delle volte si rivolge proprio ai suoi compagni Joe Guidry (Jason Schwartzman), che non a caso somiglia ad Allen Ginsberg, e Tom Williams (Colin Bates).

Lee cerca frammenti d’amore negli sconosciuti, soprattutto nei ragazzi più giovani. Qualcosa in lui, però, cambia quando incontra il silenzioso e riservato Eugene Allerton (Drew Starkey). Allerton ha un aspetto giovanile, quasi androgino, e un’aria fredda e distaccata che lo rende inaccessibile, ma proprio per questo ancora più irresistibile. Tra i due subito nasce un’intesa tacita, e ben presto Lee inizia a vedere in Allerton la sua musa, un ruolo che non sembra appartenergli veramente.
Quando [Lee] parlava sembrava intendere più di quanto dicesse. Un’inflessione particolare su una parola o un saluto sottintendevano un’epoca di familiarità occorsa in un altro tempo e in un altro luogo. Come se Lee stesse dicendo: “Tu sai che cosa intendo. Ti ricordi, tu“.
Queer di William S. Burroughs
La loro relazione si trasforma in un intreccio ambiguo, in cui si mescolano sessualità, passione e potere, offuscando i confini tra amore e ossessione. Ne deriva un’incalzante tensione che porta i due uomini a rincorrersi a vicenda, mentre l’attrazione omoerotica tra loro, pur mai esplicitata, resta innegabilmente palpabile.
Sotto la sua pelle
Il ritmo del film rallenta quando Lee e Allerton intraprendono un viaggio nelle foreste ecuadoriane, nella speranza di trovare lo yagé o ayahuasca, una pianta che si dice riesca a stabilire una connessione telepatica tra due persone. A questo punto, l’adattamento cinematografico prende le distanze dal romanzo originale, lasciando spazio alla creatività artistica. Guadagnino, insieme al cinematografo Sayombhu Mukdeeprom, dà vita a una scena al tempo stesso cruda e intima, in cui i due amanti si arrendono l’uno all’altro, lasciando che i loro corpi si intreccino fino a diventare uno solo. Sotto l’effetto dell’ayahuasca, Lee riesce finalmente a leggere la mente di Allerton, ma è costretto a fare i conti con la dolorosa realizzazione del suo amore non corrisposto. “Non sono omosessuale; sono disincarnato” è solo una mezza verità, perché quando le parole diventano troppo difficili da pronunciare, sembra più facile nasconderle nel silenzio, dove aleggiano come fantasmi e diventano ferite aperte.
La torbida relazione tra Lee e Allerton è destinata a rimanere un’enigma, la storia di un amore malriposto che riflette il prezzo da pagare per accettare la propria sessualità. Queer cattura la bellezza dell’omosessualità, ma anche le sue contraddizioni e le sue lotte interiori. Accettare la propria identità ed esplorare i propri desideri repressi non è affatto semplice. Il film si interroga su questo percorso turbolento, sospeso tra desiderio e negazione, bisogno d’amore e accettazione di sé.
Come Queer, anche All of Us Strangers (2023) di Andrew Haigh è l’adattamento di un romanzo che dissolve i confini tra realtà e immaginazione. Tuttavia, questa volta, i due protagonisti (interpretati da Andrew Scott e Paul Mescal) sembrano essere in perfetta sintonia: la loro relazione si costruisce sull’onestà emotiva e sulla comunicazione aperta, in netto contrasto con il legame tra Lee e Allerton. Eppure, i due film condividono una forte sensibilità alla solitudine dell’essere queer e alla ricerca disperata di un amore incondizionato.

Daniel Craig e “l’artificio della mascolinità”
Sotto l’armatura dell’alcolista baldanzoso si nasconde l’anima di un uomo fragile che indossa una maschera per dissimulare una completa disintegrazione, usando le parole di Burroughs. All’inizio, la scelta di Guadagnino di affidare a Daniel Craig il ruolo di Lee aveva lasciato il pubblico perplesso. Ma la sua performance, sorprendente e disarmante, ha dissipato ogni dubbio. In Queer, Craig si spoglia dei panni iper-virili dell’agente 007, rivelando una recitazione sensibile e vulnerabile. La star ha ricevuto ben nove minuti di standing ovation durante la premiere mondiale del film, tanto che i critici l’hanno definita la performance migliore della sua carriera. A dimostrazione di ciò, Craig ha vinto il National Board of Review come Miglior Attore e ha ottenuto una nomination ai Golden Globe, Critics’ Choice e agli Screen Actors Guild Awards per la sua interpretazione.
“L’artificio della mascolinità mi affascina. Tutto dipende dal modo in cui gli uomini sono percepiti e come si presentano”, racconta Craig, riflettendo sull’evoluzione dei suoi personaggi, da Bond a Lee. Craig è riuscito appieno a incarnare l’alter ego di Burroughs, creando un equilibrio tra la personalità pungente di Lee con la sua genuina fragilità. Grazie a gesti impercettibili, una voce tremante, un sorriso nervoso o uno sguardo colmo di desiderio, Craig regala un’interpretazione così autentica e struggente da rimanere impressa ben oltre i titoli di coda. Condannato dalla sua stessa natura, Lee diventa un antieroe in un esilio autoimposto in Messico, si abbandona all’effetto anestetizzante della droga e dell’alcool per sopportare la frustrazione del suo desiderio inappagato. L’uso della doppia esposizione e delle immagini sovrapposte amplifica il suo tormento interiore, mentre lotta per abbracciare la propria autenticità. Tocca Allerton con “mani fantasma”, sognando un amore delicato, capace di restituirgli la libertà.
Entrambi sfuggono alle rigidi definizioni della mascolinità, Lee e Allerton corrono su binari paralleli, che, a tratti, finiscono per scontrarsi nel percorso di accettazione della propria queerness. Guadagnino descrive la loro relazione come una storia d’amore fuori sincrono, in cui le loro vere identità rimangono disallineate, intrappolate in una costante lotta tra l’intimità e il rifiuto.

Un racconto per immagini e simboli
Con l’intenzione di creare un film che somigli a un sogno lucido, Guadagnino ha portato un Sud America graffiante a Cinecittà, grazie alla preziosa collaborazione con il production designer Stefano Biasi. Guadagnino si è avvicinato alla produzione come se si stesse affacciando sulle fantasie di Burroughs, lasciando fluire anche la sua immaginazione. Ha persino importato la vegetazione sudamericana e ha ricreato un fiume negli studi di Cinecittà, per ottenere un effetto realistico. Inoltre, ha girato alcune scene nei pressi della sua città natale a Palermo, chiudendo così un cerchio con la sua prima scoperta del romanzo.
Giocando con immagini distorte, effetti speciali in CGI, miniature e sfondi dipinti, Queer restituisce un’esperienza allucinatoria. Il film è ricco di colori vividi e saturi che richiamano In The Mood for Love (2000) di Wong Kar-wai, che esplora anche il tema dell’amore impossibile. Queste tecniche sono particolarmente evidenti nelle visioni di Lee indotte dall’astinenza, le quali sembrano aprire il vaso di Pandora per rivelare il suo subconscio più profondo.
Inoltre, Queer fa spesso ricorso a simbolismi, ed è preferibile comprenderli prima in modo da cogliere appieno il significato del film. Il motivo ricorrente del millepiedi rappresenta il tema della repressione, riflettendo la difficoltà dei personaggi nell’abbracciare la propria sessualità. Dall’altro lato, l’immagine degli Uroboro, serpenti che si mordono la coda creando il simbolo dell’infinito, rappresentano tradizionalmente il ciclo di vita, morte e rinascita. In questo film, rispecchia sia i comportamenti autodistruttivi di Lee sia il suo ostinato appiglio alla vita. In definitiva, Queer racconta una storia d’amore tragica, in cui Lee è disposto a spingersi fino ai confini del mondo per amore, solo per essere rifiutato. Eppure, riesce ad andare avanti, portando sulle spalle il peso del suo cuore spezzato.
L’universo sonoro del desiderio
La musica appare sempre come un personaggio in carne e ossa nell’universo cinematografico di Guadagnino, aggiungendo un ulteriore sfumatura alla sua narrazione già coinvolgente. Questo vale anche per Queer, dove la sua collaborazione con Atticus Ross e Trent Reznor ha contribuito a evocare un’atmosfera evanescente in ogni capitolo del film. La colonna sonora entra in dialogo con i personaggi, accompagnando Lee nella sua metaforica discesa negli inferi e dentro di sé.
Accanto ai brani strumentali, Guadagnino ha curato per Queer una colonna sonora che rende omaggio all’eredità controculturale di Burroughs ed enfatizza l’animo grunge del film. Innanzitutto, la cover malinconica di All Apologies dei Nirvana, interpretata da Sinéad O’Connor, definisce fin dall’apertura il tono della storia. Successivamente, il film inserisce un altro brano dei Nirvana: l’intramontabile Come As You Are avvolge Lee mentre vaga nelle strade ombrose di Città del Messico, riecheggiando i vagabondaggi notturni di Bill in Eyes Wide Shut (1999) di Stanley Kubrick. Con il suo appello all’autenticità e all’accettazione, la canzone aiuta gli spettatori a immedesimarsi nei personaggi che popolano il mondo di Queer, imperfetti e contraddittori, ma per questo profondamente umani.
“How can a man who sees and feels be other than sad?”. Queste parole di Burroughs vengono riprese in un pezzo sperimentale pensato per accompagnare i titoli di coda, un monito che ci ricorda che guardarsi dentro significa anche confrontarsi con le proprie ombre. Queer è una potente meditazione su ciò che significa vivere e amare davvero, nonostante la confusione e il dolore. È un invito ad accettare la queerness in tutte le sue forme, meravigliose, complesse e impegnative, esortandoci a mostrare sempre i nostri sentimenti con orgoglio.
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