Vincent | Il primo esperimento stilistico di Tim Burton
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Tim Burton è un regista dallo stile inconfondibile, noto per i suoi film iconici tra i quali Beetlejuice (1988), Batman (1989), Edward mani di forbici (1990) e La fabbrica di cioccolato (2005). Il filo conduttore di tutti i suoi lavori è l’animazione a passo uno, il tema della stranezza e dell’emarginazione, la tipica atmosfera gotica anglosassone e la concettualizzazione dei personaggi. Ma non è noto a tutti che la pietra di paragone stilistica dell’artista si trova nel suo primo cortometraggio in stop motion: Vincent.
Scritto, diretto e progettato da Burton nel 1982, Vincent è un corto animato horror prodotto dalla Walt Disney Animation Studios. Come si legge nel libro Burton racconta Burton del 1995 (a cura di Mark Salisbury), Vincent fu consegnato agli archivi della Disney e non fu mai ridistribuito perché era considerato troppo spaventoso e pessimistico per il pubblico di riferimento della compagnia. In più, Vincent è anche il primo cortometraggio in stop motion dello stesso regista che combina animazioni 2D e 3D. L’inizio di una tecnica che avrebbe trovato fortuna con film successivi di Burton, da Nightmare Before Christmas (1993) a La sposa cadavere (2005).
- Il reietto della Disney
- Vincent: un dandy impressionista
- Burton vs. Disney
- Le fondamenta dello stile burtoniano
Il reietto della Disney
Tim Burton cominciò a lavorare come artista concettuale per la Walt Disney Productions nel 1979. Il suo stile gotico e macabro venne considerato inizialmente poco adatto al colosso dell’intrattenimento. Eppure, impressionato dal suo talento, il responsabile dello sviluppo creativo Tom Wilhite affidò a Burton un budget di 60mila dollari per produrre Vincent, un adattamento di una poesia di Burton. L’autore vi lavorò per due mesi, e il risultato fu un cortometraggio di sei minuti. Il film è girato in un bianco e nero netto, sotto l’influenza dell’espressionismo tedesco degli anni Venti (soprattutto in opere come Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene).
Un narratore onnisciente in terza persona, interpretato dal famoso attore americano di film horror Vincent Price, racconta la storia di Vincent Malloy, un bambino di 7 anni. La storia – raccontata in distici in rima – mostra l’adolescenza precaria di Vincent. Il protagonista vive in un mondo paranoico tutto suo, completamente distaccato dalla realtà. Sua madre prova a riportarlo nel mondo reale, ma non capendo la diversità e l’unicità di suo figlio, non fa che peggiorare la situazione e rafforzare la convinzione di essere un mostro.
Vincent: un dandy impressionista
Vincent Malloy immagina sé stesso in situazioni ispirate dal film di Vincent Price, basato sulle opere di Edgar Allan Poe. Passa le giornate sperimentando sul cane Abercrombie – un’anticipazione di Frankeweenie (2012) di Burton – e leggendo i racconti di Poe. La sua narrativa lo ossessiona al punto da identificarsi con il protagonista de Il corvo: si convince che, come lui, è stato privato della sua Leonore, la donna che ama.
Il regista tenta di restituire l’atmosfera cupa dei racconti gotici di Poe attraverso il mezzo cinematografico. In particolare, traduce i tropi del genere gotico, introdotti dal romanzo Il castello di Otranto (1764) dello scrittore inglese Horace Walpole. Tra questi ci sono gli edifici bui circondati dalla nebbia, gli eroi e gli antieroi dal passato tormentato e l’interesse per il sinistro e il grottesco.
Visivamente questo avviene attraverso riprese a passo uno (stop motion) in bianco e nero, per evidenziare il contrasto tra chiarezza e oscurità. C’è un ampio ricorso all’architettura gotica con i suoi edifici alti con tetti e archi sporgenti, e a elementi simbolici come scheletri, gatti neri, pipistrelli e temporali. Elementi che lo spettatore ritroverà nella filmografia di Burton, per esempio nel regno dei morti e la chiesa allungata de La sposa cadavere o la collina a forma di conchiglia di Nightmare Before Christmas.
Dal punto di vista uditivo, tuttavia, l’uso di suoni tetri come organi, tuoni, colonne sonore evocative e la voce profonda del narratore contribuiscono a creare un’atmosfera sempre più terrificante e sinistra.
Oltre al contesto evocativo, lo spettatore può notare la connessione esplicita e diretta al poema Il corvo di Poe attraverso le sue citazioni dirette alla fine del film:
Sembrano di sognante demoni gli occhi, e i rai
Edgar Allan Poe, Il Corvo, 1845
del lume ognor disegnano l’ombra sul pavimento,
né l’alma da quell’ombra lunga sul pavimento
sarà libera mai!
Burton vs. Disney
Nel finale di Vincent, il protagonista cade a terra pensando di essere morto, un finale considerato troppo macabro per la Disney che, invece, voleva un lieto fine. Ma per Burton, questo finale non era deprimente. Anzi, avrebbe lasciato spazio all’immaginazione dello spettatore invece di inserire un finale esplicito, nello stile Disney. Fu questo il primo vero confronto con la “sindrome del lieto fine”: è uno dei principali punti di scontro tra Burton e Disney, insieme alle differenze stilistiche e alle diverse rappresentazioni dell’eroe.
L’estetica personale di Burton, espressionista e gotica, non coincide con quell’immaginario brillante, colorato e onirico della Disney. Viceversa, Burton non ha l’ambizione di trasmettere una morale o un sistema di valori. Preferisce approfondire il subconscio dei protagonisti. I personaggi principali più che eroi, sono antieroi. Reietti di natura che spesso non hanno nulla di più speciale degli altri.
Gli antieroi di Burton cercano il loro posto nella società, spesso senza riuscirci. Ma alla fine riescono a rimanere fedeli a se stessi e accettano la loro diversità facendone un punto di forza.
Le fondamenta dello stile burtoniano
Vincent Malloy è un’anticipazione e un archetipo del protagonista tipico dei film di Burton: l’emarginato, il mostro rifiutato e frainteso dalla società. Questo archetipo rappresenta lo stesso Burton, che si pone spesso al di fuori dell’industria cinematografica e delle logiche di produzione mainstream.
Vincent getta le basi di un percorso creativo ed è la prima prova dell’audacia di Burton nel cercare di rimanere fedele alle sue verità, alle sue convinzioni e al suo talento creativo nell’industria di Hollywood. Restare fedele alle sue radici artistiche ha permesso a Burton di spiccare per il suo stile distintivo e straordinario. A tal punto che oggi il termine “burtoniano” viene usato per descrivere persone, oggetti, azioni o atmosfere che rievocano l’immaginario horror e fantasy dei suoi film.
Per concludere, il regista, come Vincent Malloy e i suoi altri personaggi reietti e antieroi, sembra essere riuscito a fare della sua unicità la sua più grande forza e particolarità.
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