Povere creature! di Yorgos Lanthimos | Un mondo molto, molto folle
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Nel bel mezzo dell’anno del Barbenheimer, un altro grande nome di Hollywood ha fatto il suo grande ritorno: Yorgos Lanthimos. A cinque anni da La Favorita (2018), il regista greco si riunisce con Emma Stone e lo sceneggiatore Tony McNamara per quello che, finora, è il suo film più ambizioso. Povere creature! è il contraltare d’autore a Barbie di Greta Gerwig. E nella sua idea di cinema come spettacolo visionario e multisensoriale, è l’equivalente a medio budget di Oppenheimer di Christopher Nolan.
Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore e artista scozzese Alasdair Gray, il film è un ibrido di generi e toni, tenuto insieme dalla creatività e dall’audacia che hanno sempre caratterizzato il lavoro di Lanthimos. Questa volta però, grazie a un cast stellare e a una posizione più apertamente pop-femminista, ha finalmente fatto breccia in un pubblico più mainstream.
Con un incasso mondiale che ha superato di gran lunga la soglia dei 100 milioni di dollari, Povere creature! è attualmente l’opera di maggior successo del regista. E dopo aver vinto il Leone d’oro al miglior film all’80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, è diventato immediatamente uno dei protagonisti della stagione dei premi 2023-24, terminando la sua corsa con quattro Oscar, due Golden Globe e cinque BAFTA. Emma Stone, in particolare, ha vinto tutti e tre i premi nella categoria miglior attrice.
Una giovane donna (Emma Stone) si getta da un ponte. Il dottor Godwin “God” Baxter (Willem Dafoe), uno scienziato con poco da invidiare a Victor Frankenstein – ha l’inclinazione a fondere i corpi in ibridi – la riporta in vita. Una bambina in un corpo adulto, priva di ricordi del suo passato, la donna, ribattezzata Bella, ricomincia la sua vita. Rinchiusa nella villa di Baxter, Bella mostra un’insaziabile curiosità per il mondo esterno, la sua condizione, il suo corpo. Quando un avvocato donnaiolo (Mark Ruffalo) le offre la possibilità di fuggire dal padre-creatore, Bella coglie al volo l’occasione. La donna si imbarca in un’avventura piena di scoperte, e il suo spirito libero diventa presto impossibile da contenere.
Yorgos nel Paese delle Meraviglie
Nel romanzo di Gray, Lanthimos trova pane per i suoi denti. Il regista-sceneggiatore ha trascorso gran parte della sua carriera a smascherare i costrutti sociali per quello che sono. Costrutti, convenzioni e regole da seguire la cui ratio è stata da tempo dimenticata. E, in pieno spirito surrealista, lo fa esagerandoli. Mostrando l’insensatezza che si cela sotto la loro superficie con l’umorismo più nero – in questo caso sfociando, a tratti, persino nel body horror. Ciò che è cambiato nel corso degli anni è lo stile in sostegno di questo approccio. Quello che nei suoi primi film sembrava un matrimonio tra l’irriverenza di Luis Buñuel e la crudeltà di Michael Haneke si è evoluto in qualcosa di veramente personale.
Ormai un fiero sostenitore del grandangolo, Lanthimos sfrutta al meglio l’alto budget per mettere in scena un mondo fantastico (con l’aiuto delle scenografie di Shona Heath e James Price, e dei costumi di Holly Waddington) con una verve creativa che non si vedeva da tempo. Se il design delle molte meraviglie tecnologiche rappresentate è puro steampunk, l’architettura di questa immaginaria Europa Fin de siècle sembra un organismo vivente. Come gli ibridi di Godwin Baxter, è un mosaico in carne e ossa di elementi disparati (dagli stili più disparati). Tra i sogni di Antoni Gaudí e gli incubi di H. R. Giger.
Lanthimos esibisce con orgoglio la finzione di tutto questo. Tornano in mente i film di altri visionari, quelli di Terry Gilliam e Tim Burton in particolare. Ma questo spirito risale ancora più indietro nel tempo. Il regista greco mostra lo stesso orgoglio e la stessa destrezza con cui Federico Fellini creava i suoi mondi di finzione nei suoi ultimi lavori – quali Il Casanova di Federico Fellini (1976), La città delle donne (1980) ed E la nave va (1983). Come l’autore italiano, Lanthimos vuole che il pubblico goda del suo mondo visionario non malgrado questo totale anti-realismo, ma in virtù di esso.
Vuole che il pubblico si meravigli dell’arte del world-building fine a se stessa. (E, per estensione, del potere evocativo del cinema). Ma solo perché gioca a carte scoperte, non significa che non ci sia altro da vedere al di là di queste eccentriche facciate.
Poveri conformisti!
Non ci vuole molto perché chi guarda si chieda chi siano davvero le povere creature del titolo. Si tratta di Bella e di tutti gli emarginati che incontra nel suo viaggio? Lo scienziato deforme e lunatico, il suo goffo assistente, le creature interspecie che fabbricano, i viaggiatori cinici, le sex-worker, la povera (letteralmente) gente? Il titolo si rivela presto un’antifrasi.
Alla maniera di Freaks (1932) di Tod Browning – che verrà omaggiato in una parte fondamentale del film – gli emarginati si dimostrano veramente degni del titolo di “umani”, pur non essendo privi di difetti o di quei costrutti da cui cercano di fuggire. Allo stesso modo, va notato che il film non è completamente privo dell’individualismo che tenta di criticare. Come ha scritto Angelica Jade Bastién in un articolo che ha suscitato un dibattito sul film: “Bella è un circuito chiuso. Tutto il suo presunto femminismo e la sua curiosità crollano su se stessi” [traduzione dell’autore].
I mondani, d’altro canto, si mostrano in tutta la loro meschinità e violenza. Ma, come è d’abitudine nelle storie di conformismo, alla fine sono i conformisti a patire di più le costrizioni che tentano di imporre agli altri. La repressione si ritorce contro chi cerca di imporla. Il potere brucia chi vuole esercitarlo. Le regole del gioco sono semplicemente troppo irragionevoli per essere seguite. Ma anche quando non vale più la pena di giocare, il gioco non deve mai finire.
Ma se il conformismo non è altro che una forma di auto-tortura, Povere creature! sostiene che la defezione spontanea dei freak può trasformarsi in ribellione. E in seguito può portare a un nuovo stile di vita: libero, uguale e comunitario.
Dio è donna
I personaggi maschili provano, ognuno a modo suo, a controllare Bella e lei non prende la cosa nemmeno in considerazione. È semplicemente troppo autonoma.
Emma Stone, anche co-produttrice del film (dalle note di produzione)
Quella che all’inizio sembra la serie di sfortunati eventi di una Lolita decisamente schietta si trasforma presto in una storia di formazione. Il viaggio di Bella verso l’autodeterminazione passa, oltre che da un’educazione sessuale all’insegna del “sbagliando s’impara”, per un costante senso di perplessità di fronte alle assurdità del mondo borghese dentro cui si ritrova gettata. L’effetto è esilarante, nella tradizione di altri stranieri in terra straniera quali lo Charlot di Charlie Chaplin o Monsieur Hulot di Jacques Tati. E non meno politico.
Si potrebbe quasi dire che Povere creature! sia un erede di Alice nel Paese delle Meraviglie. Dopotutto, l’opera di Lewis Carroll era anche una critica dei molti rituali sociali a cui, per quanto insensati possano sembrare, da bambini si finisce a dover prendere parte per poter essere ammessi nella società degli adulti. Il secondo film di Lanthimos, Dogtooth (2009), ruotava attorno alla stessa idea, con sviluppi molto più inquietanti. Bella è una sorta di Alice tardo-adolescente. E l’oppressione delle donne – per mezzo del controllo dei corpi – è, ai suoi occhi, tanto incomprensibile e insensata quanto un tè col cappellaio matto.
Bella guarda alle terribili meraviglie del mondo con lo stesso stupore di Alice. Ma a differenza di Alice, non si limita a guardare. Il suo sguardo è critico. Punta a comprendere le fondamenta del Paese delle Meraviglie. Non importa quanto profonde queste possano essere, quanto ripugnanti possano rivelarsi. E ha in mente uno scopo finale: un cambiamento radicale. È una promessa, da parte di una regina freak, di rifare il mondo a sua immagine e somiglianza. Non come un idolo da adorare, ma come una pioniera da cui lasciarsi ispirare.
Lo sguardo di Bella è, in definitiva, lo stesso atteggiamento che Povere creature! vuole risvegliare in chi guarda. Un mix di stupore davanti alle meraviglie del mondo e di scetticismo di fronte alle sue facciate. È il cocktail giusto per una vita significativa. O, almeno, per una vita unica.
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