Creuza de Mä | La pietra miliare di Fabrizio De André che naviga il mare
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Quando ha ascoltato per la prima volta Creuza de Mä, l’amministratore delegato dell’etichetta italiana Ricordi si è sentito improvvisamente scoraggiato. “Speriamo di riuscire a vendere almeno qualche copia a Genova”, ha sospirato. Creuza de Mä è l’ultimo lavoro di Fabrizio De André, uno dei cantautori più apprezzati in Italia. Esce nell’inverno del 1984, quando De André è già una leggenda. Da quando, a metà degli anni Sessanta, ha ottenuto il favore del pubblico, è apprezzato per le canzoni pizzicate e per i testi sofisticati, spesso politici. Ma Creuza de Mä è molto lontano da tutto ciò che ha fatto prima, tanto da apparire disorientante. Per cominciare, combina chitarre e violini con oud, bouzouki e mandole. Se questo non basta, è scritto nell’a vecchia’antica lingua di Genova.
Quando esce, Creuza de Mä è tutt’altro che commerciale. Ma un anno dopo le cose sembrano ben diverse. “Chissà da quanto tempo non eravamo presenti a una tale manifestazione di successo nel campo della musica pop. Ci voleva Creiiza de Mä (sic!)”, scrive La Stampa il 20 Gennaio 1985.
Quel giorno, l’album vince un disco d’oro. Sfidando ogni logica di mercato, un album apparentemente invendibile diventa uno dei più grandi successi di De André. Non solo vende “qualche copia a Genova”, ma conquista il pubblico internazionale, diventando un cult. Il sound mediterraneo e le stranezze linguistiche lo rendono una pietra miliare della musica etnica.
- Sull’onda della musica etnica
- Il suono del Mediterraneo
- Di marinai, soldati e puttane
- Un ponte sui mari
Sull’onda della musica etnica
L’uscita di Creuza de Mä non è stato il primo passo di De André fuori dalla sua zona di comfort. Nel corso degli anni, gli arrangiamenti da cantautore francese degli esordi avevano lasciato spazio ad altre sonorità. Artista non comunemente riservato, non aveva mai suonato dal vivo davanti a un pubblico fino al 1975. Ma quando decide di salire su un palco, lo fa con stile. Grazie alla collaborazione con la band rock progressiva PFM, i suoi brani classici assumono una tonalità completamente diversa durante i tour. Questa esperienza lo rende consapevole delle possibilità espressive di un’orchestrazione complessa e ben studiata. In questo modo, per tutti gli anni ‘70, arricchisce le sue composizioni con elementi rock e blues. Tuttavia, nessuno di questi sviluppi è paragonabile alla rivoluzione di Creuza de Mä. Questo vale tanto per De André quanto per il panorama musicale mondiale degli anni ’80.
Nel 1984, il concetto di “world music” o “musica etnica” è agli inizi. Nel decennio precedente, i musicisti avevano iniziato a incorporare nelle loro composizioni elementi tradizionali provenienti da tutto il mondo. Nel frattempo, con la diffusione del reggae, della musica latinoamericana, delle melodie sudafricane e dell’influenza dell’Africa occidentale francofona, il valore dei linguaggi musicali alternativi diventa all’improvviso evidente. In Italia c’erano stati alcuni tentativi di cavalcare l’onda. Nel 1974 Lucio Battisti pubblica Alma Latina, una colorata combinazione di musica pop e suoni latinoamericani. Ma mentre il cambiamento è in atto, Creuza de Mä mostra qualcosa di unico, e non si tratta solo del suono mediterraneo. Prima della sua uscita, nessun musicista pop si era spinto a scrivere un intero album in una lingua locale, tanto meno in una lingua morta.
Il suono del Mediterraneo
Non c’è bisogno di dire che Creuza de Mä è stata un’impresa difficile. Eppure, alla domanda su cosa l’abbia spinto a produrla, De André dà una risposta semplice. “Visto che abitiamo il Mediterraneo, lo viviamo, ho pensato che sarebbe stato il caso di cominciare a fare della musica mediterranea. Avvalendosi di strumenti mediterranei…”, dichiara in un intervista con la RAI. Alla sua destra si vede un uomo dai capelli scuri e dalla camicia bianca. Si tratta di Mauro Pagani. Ex membro della PFM, Pagani era uno dei polistrumentisti più talentuosi d’Italia. Da tempo si dedicava alla ricerca sulla musica mediterranea ed è lui la mente dietro l’orchestrazione.
“Io mi sono occupato della parte musicale, mentre Fabrizio ha lavorato sui testi. È stato molto coraggioso: era famoso per i suoi testi e improvvisamente ha pubblicato un album di cui non si capiva una sola parola,” dichiara Pagani in un’intervista nel 2014.
Ma la scelta di scrivere nell’antico dialetto genovese è perfettamente coerente con l’obiettivo dell’album. Per tutto il Medioevo, il genovese è una lingua franca nel commercio marittimo. È parlato in tutto il bacino mediterraneo. “E quando si è trattato poi di cercare una lingua che in qualche maniera fosse un sunto (…) degli idiomi mediterranei credo che il Genovese lo sia sul serio”, spiega De André.
Di marinai, soldati e puttane
Dietro quelle parole misteriose e dal suono ancestrale, De André intreccia le storie dei personaggi più pittoreschi del bacino. Sono avventurieri, emarginati e prostitute: i soggetti preferiti da De André da sempre, ma collocati in riva al mare. La maggior parte delle canzoni parla di Genova. È il caso di Creuza de mä, la canzone che dà il titolo al disco, che racconta le difficoltà e i piaceri della vita del marinaio. Altri brani si svolgono su lidi lontani. Jamin-a, ad esempio, è stata ispirata dai viaggi di De André e Pagani in Africa e in Medio Oriente. Parla di una prostituta che lavora nei porti: la compagna del marinaio stanco.
Come spiega De André , Jamin-a non è un sogno, è piuttosto la speranza di una tregua. Una tregua dalla possibilità di una burrasca a forza otto in mare, o addirittura di un naufragio. […] Jamin-a è la compagna di un viaggio erotico che ogni marinaio spera, o meglio pretende, di incontrare in ogni porto.
Anche il terzo brano, Sidún, ha un’ambientazione araba. Tra i brani più evocativi dell’album, è stato ispirato dalla guerra del Libano del 1982. Parla di un uomo che scopre che suo figlio è morto sotto le ruote di un carro armato. De André lo descrive come una metafora della morte civile e culturale del Libano sotto i bombardamenti.
Un ponte sui mari
Scrivendo Creuza de Mä, De André dà voce agli amori, ai dolori e alle speranze di tutti gli emarginati del bacino del Mediterraneo. Trovato e mostra le radici comuni di mondi in apparenza lontani. È uno dei più grandi risultati dell’album. Attraverso suoni atavici eppure familiari, ispira gli ascoltatori ad abbracciare la bellezza del diverso. In questo senso, è una sorta di invito al viaggio.
Il mare divide e unisce popoli e continenti. Quando li divide, direi che stimola i sogni, l’immaginazione. Quando li unisce, cioè quando si inizia a viaggiare, è un contatto continuo con la realtà.
Il successo di Creuza de Mä è stato a sua volta senza confini. David Byrne, entusiasta, lo descrive come una delle uscite più importanti degli anni Ottanta. Anche il regista tedesco Wim Wenders è un suo fan. Ha conosciuto De André grazie a questo album e lo descrive come “uno dei miei musicisti preferiti sul pianeta”.
A quarant’anni dalla diffusione del concetto di world music, le critiche sono numerose. Ha senso mettere tutta la musica non occidentale nello stesso calderone? Secondo David Byrne, è “un modo per relegare questa ‘cosa’ nel regno di qualcosa di esotico e quindi carino”.
Qui sta l’importanza di Creuza de Mä. Con i suoi testi incomprensibili e i suoi suoni locali, parla a un pubblico globale e lo fa a voce alta.
Puoi ascoltare Creuza de Mä su Spotify.
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