Dopo 45 anni di gestazione è uscito un singolo dei Beatles. È l’ultimo esempio dell’intervento dell’intelligenza artificiale nel campo dell’industria musicale. In qualche modo è un sintomo della tendenza alla necromanzia digitale della musica contemporanea: l’uso di AI per simulare o ricreare la presenza di persone defunte, in questo caso per far creare loro nuovi brani.
Now And Then è una traccia del ‘78, ben nota ai fan di vecchia data. Era rimasta per lungo tempo una demo su un nastro che Lennon lasciò a Yono con su scritto “For Paul”. Quindi, che il pezzo trovasse la luce in qualche modo, era già nelle intenzioni dell’autore. Nove lustri fa, però, non avrebbe potuto certo immaginare che per riuscirci sarebbe intervenuta un’AI voluta da Peter Jackson per realizzare la docuserie Get Back, per Disney+. E che poi il pezzo sarebbe stato distribuito su Spotify.
- Now and Then
- Echi artificiali di voci reali, con Lil Peep e XXXTentacion
- Il magico è reale: il caso di GPT-3
- La resurrezione digitale nella musica
- La differenza tra AI analitica e generativa
- Imitations of life: il nodo del diritto d’autore
- La necromanzia nella cultura pop
- Spettri sonori e fantasmi reali
- La spettralità nella musica
- Le unicità del suono
- Retromania per il futuro?
Now and Then
La demo è stata lavorata includendo le registrazioni dei solo che George Harrison aveva provato a scrivere a metà degli anni ‘90, prima che il trio di Liverpool decidesse di abbandonare il progetto per la scarsa qualità delle registrazioni originali. All’epoca riuscirono a completare con successo Free as a Bird e Real Love, partendo dalle demo di Lennon. In questo caso, però, sembrava impossibile perché la sua voce era confusa. Coperta dalla linea di piano, pareva inseparabile.
È stata l’AI a consentire un approfondito lavoro di pulizia e restauro, niente di più. Ringo Starr ha voluto precisarlo:
Non stiamo fingendo niente. Quella è effettivamente la voce di John, la voce e il basso di Paul, George alla chitarra ritmica e io alla batteria.
Eppure la voce di Lennon è stata ricostruita in parte da un’intelligenza artificiale. Viene dunque lecito chiedersi: qual è il confine? Quando la manipolazione diventa necromanzia digitale? È il paradosso della nave di Teseo che interroga l’identità e la continuità di un oggetto nonostante i cambiamenti: se a una nave si sostituiscono gradualmente tutte le parti, rimane la stessa nave?
Un’intelligenza artificiale può intervenire per separare la voce da un’altra linea e pulirla, certo. Ma è semplice restauro quando un sistema di machine learning completa le parti che mancano nella registrazione con delle frequenze generate ex-novo?
Ringo ha aggiunto:
Era la cosa più vicina ad averlo di nuovo con noi nella stanza, quindi è stato molto intenso per tutti […] Era come se John fosse lì. Incredibile.
Questa è una delle potenzialità spettrali della necromanzia digitale.
Echi artificiali di voci reali, con Lil Peep e XXXTentacion
Il tema della necromanzia digitale è stringente e chiede di essere affrontato con urgenza. Recentemente Liam Gallagher ha lodato un falso album degli Oasis generato dall’intelligenza artificiale ad opera di una band underground. Grimes ha dato il permesso ai fan di usare la sua voce generata con IA nei loro progetti musicali. “Basta che non mi facciate cantare un inno nazista”, ha commentato.
La rivista britannica NME ha esplorato il tema rassicurando sul proliferare dell’intelligenza artificiale nella musica. La tesi è semplice: se si crea una grande offerta di musica artificiale, ci sarà una grande richiesta di musica umana. Anche se è presto per speculare sulle ripercussioni che avrà uno strumento del genere su un mercato già fragile, sarebbe utile indagare la crescente tendenza a trattenere i morti sulla Terra e a farli cantare per noi. Lennon voleva che il pezzo vedesse la luce; probabilmente Harrison meno. In ogni caso, McCartney e Starr hanno scelto per tutti. Questo non accade per tante produzioni fan made online, realizzate per puro divertissement. Altre volte, però, succede con produzioni dirette dalle majors, come l’epitaffio non previsto di Falling Down di Lil Peep e XXXTentacion.
Il magico è reale: il caso di GPT-3
Quello che una decina di anni fa era un episodio (S02E01, Torna da Me) di Black Mirror è realtà da tanto tempo. Nel 2020 Joshua Barbeau ha istruito una versione di GPT-3 con tutte le conversazioni registrate di sua moglie Jessica, morta otto anni prima. Ora, negli USA esistono compagnie come Somnium Space e Deepbrain che offrono la possibilità di creare una copia di sé per restare in contatto con i propri cari dopo la dipartita. I meta-spettri digitali si ritrovano in forme inattese e sorprendenti. Come veri spettri, si annidano negli anfratti più reconditi e nascosti.
La resurrezione digitale nella musica
Il concetto dell’assenza spettrale pregna gli ambienti liminali e su questo c’è un’ampia letteratura (l’idea che negli spazi di transizione, l’assenza di qualcosa o di qualcuno possa essere sentita in modo molto forte). Ma come si riflette se i morti producono arte? O meglio, se l’intelligenza artificiale fa arte servendosi dei morti attraverso forme di necromanzia digitale?
Alcuni artisti sembrano già essere immortali grazie alla loro musica, ma qui il discorso è completamente diverso. Attraverso modelli AI emergenti, qualche anno fa i fan reinterpretavano le voci di musicisti deceduti in nuove canzoni: Freddie Mercury cantava su Careless Whisper di George Michael e Michael Jackson tentava una Wake Me Up di Avicii. Ma ormai questi modelli AI non stanno semplicemente immaginando un universo in cui i grandi della musica han vissuto abbastanza da dedicare gli ultimi anni della loro carriera a karaoke di dubbio gusto. Nel caso dei Beatles è proprio un pezzo ufficiale, parte della reale produzione di Lennon.
La differenza tra AI analitica e generativa
“In generale, distinguiamo tra usi analitici e generativi”, spiega il dott. Tom Collins, docente di tecnologia musicale all’Università di York. L’AI analitica, la forma più tradizionale, viene utilizzata per analizzare i dati esistenti per aiutare nella previsione o nell’automazione. Il che significa che può essere utile per compiti prettamente manuali. L’AI generativa, invece, è in grado di apprendere dai dati e quindi creare nuovi dati dai suoi risultati. Quella servita per l’algoritmo di restauro della demo di Lennon è una commistione delle due. È l’AI generativa, quella che imita i timbri ed è, ad esempio, alla base di praticamente tutte le cover virali di TikTok e sta assistendo a un rapido sviluppo grazie all’emergere di computer sempre più potenti.
Tyler, the Creator è stato esplicito nel suo desiderio di non essere reincarnato dall’AI dopo la morte dalla necromanzia digitale. Allo stesso modo, Ice Cube ha definito Heart On My Sleeve, un duetto generato dall’intelligenza articiale tra Drake e The Weeknd, “demoniaco” e ha invitato Drake (che, a proposito, nel 2018 ha pubblicato un “duetto” che includeva voci inedite di Michael Jackson) a citare in giudizio i creatori. La canzone è stata successivamente eliminata dalla Universal Music Group. Ma essendo pionieri di un territorio senza dominio, non c’è ancora alcuna vera riflessione giuridica ed etica.
Imitations of life: il nodo del diritto d’autore
Senza regole e direttive coerenti per definire ciò che sia consentito o meno, con l’AI si può fare virtualmente di tutto. Teorici come Nick Bryan-Kinns, professore di Interaction Design presso la Queen Mary University of London, sembrano piuttosto tranquilli sugli scenari futuri. Dopotutto, dice, la leggenda che circonda gli artisti risiede in ciò che erano in quanto esseri viventi e in come ciò si traduceva nelle loro canzoni.
L’AI semplicemente non ha le stesse esperienze vissute da un essere umano […] Non si è mai innamorata né ha mai provato l’emozione di guardare un tramonto. Non si è ubriacata e non ha mai avuto i postumi di una sbornia. Quindi probabilmente sarà un po’ noiosa”.
Questo era forse valido in passato. Ricreare una persona morta non è tanto un problema dell’AI, sulla carta, quanto di accesso ai dati sui suoi ricordi, sulle sue parole, sul suo modo di esprimersi e di vivere. Se questo può essere un problema per persone vissute 40 anni fa, data la mancanza di un archivio, oggi un cellulare tiene traccia di tutto.
Una volta ritornato in vita, bisognerà però decidere chi possiederà i diritti di utilizzo del morto vivente; se saranno le etichette discografiche, le aziende o le famiglie a poterlo affittare in concessione.
La necromanzia nella cultura pop
La cultura popolare è da sempre affascinata dall’idea di rigenerare i morti, esplorando le complesse dinamiche e i dilemmi etici che circondano il processo del lutto. Opere come Pet Sematary di Stephen King e il film del 2015 The Lazarus Effect indagano sulle ripercussioni del riportare in vita i propri cari, sollevando domande sul peso emotivo e le implicazioni morali del manipolare la morte. L’assenza è un’esperienza personale e complessa, umana. Il desiderio di riconnettersi lo è altrettanto, ma è lecito domandarsi quali possano essere le conseguenze se deleghiamo la risposta alle macchine.
La necromanzia digitale fornisce un modo per superare la morte o semplicemente la rende eterna? Non è facile distinguere se si tratti della capacità di cambiare il futuro o rappresenti una forma di stagnazione nel passato che inizia a predare il possibile anche dopo aver esaurito quanto di vivo aveva.
All’inizio è stata la gen Z, la stessa che adora serie come Stranger Things che stimolano nostalgia per un tempo che non hanno vissuto, a usare le nuove tecnologie per resuscitare artisti morti attraverso mashup sbilenchi; una sorpresa per le comunità scientifiche. Ma non rappresenta semplicemente una svolta creativa, come lo fu il campionamento negli anni ‘90 dei riff soul anni ‘50. Quello che viene riportato in vita riutilizzando una voce è il capitale sociale, politico, estetico ed affettivo di un artista.
Spettri sonori e fantasmi reali
È prima di tutto un sintomo. Il modo in cui decostruiamo e reinterpretiamo l’arte dei nostri predecessori è parte del dialogo infinito che la musica permette di creare. Ma gli elementi qui sono due: da dove viene questo desiderio di risurrezione e che valore ha un prodotto di una macchina con un modello essenzialmente predittivo. Cosa ce ne facciamo di qualcosa che un morto “non ha detto, ma avrebbe potuto dire”?
Dopo aver esaurito il divertimento che può dare porsi domande tipo “Come sarebbe se Kurt Cobain cantasse nella colonna sonora di Shrek?”, sono molteplici le questioni che fa sorgere la necromanzia digitale.
La spettralità nella musica
Prima di tutto, bisogna tenere conto del fatto che i fantasmi sono sempre stati di moda. È una nozione in qualche modo primordiale, la credenza che visitatori spettrali si presentino portando premonizioni e presagi è qualcosa che attraversa tutte le culture e risale agli albori della storia umana. Dopodiché, si potrebbe in qualche modo sostenere che la musica è intrinsecamente spettrale. Per l’invisibilità del suono o il modo in cui certe melodie ci perseguitano per giorni, che lo desideriamo o meno; il potere da madeleine di certe armonie o motivetti di sbloccare i nostri ricordi istantaneamente come una sindrome di Proust sonora.
Un altro aspetto riguarda la spettralità della registrazione in sé: in origine, Thomas Edison concepì il fonografo come modo per preservare le voci dei cari dopo la loro morte. I dischi hanno abituato le persone a vivere con i fantasmi. I negozi di dischi sono necropoli di vibrazioni. Il pubblico frequenta presenze assenti, le voci immortali, ma morte del pantheon fonografico, da Janis Joplin a Chester Bennington. Una delle qualità che non avevano questi fantasmi, però, era di dire cose nuove. Finora, le forme erano state quelle della tassidermia sonora: questi animali impagliati non erano capaci di muoversi, respirare e imitare la vita.
Le unicità del suono
Lo stesso tipo di approccio spettrale era già presente nel medium televisivo, nelle cineteche e negli archivi. Nelle maratone in prima serata che per commemorare un attore appena scomparso, lo fanno apparire che vive e respira per tutta la notte. La televisione sa essere inquietante, forse anche più della musica, come esplorato in Videodrome (1983) di David Cronenberg. La parola condivide il prefisso tele (da lontano, fantasioso) con la telecinesi, la telepatia e altri fenomeni paranormali. Una macchina dei sogni.
Ma se alle immagini l’essere umano sta diventando via via più insensibile per la mole di sollecitazioni, la musica mantiene la qualità fantasmagorica per eccellenza: essere invisibile, passare oltre le pareti e far vibrare gli oggetti. Non stiamo parlando di un genere preciso, di musica pensata per avere note spettrali, come l’hauntologica e l’eldritchronica di Simon Reynolds. Questi sono fantasmi che confondono la nostra percezione, attraversano l’uncanny valley delle nostre difese per muovere emozioni reali.
Retromania per il futuro?
Ci sono molti fantasmi in giro. Quando un grande artista lascia questo pianeta, si trasforma in icona. La prima cosa che si fa è cercare di rilasciare qualche pezzo inedito, registrare con l’aiuto di un’intelligenza artificiale un featuring inatteso e fermare il presente. Questo è un punto di svolta significativo nella nostra percezione del tempo e delle prospettive future.
Per citare proprio Reynolds, in Retromania:
Il rock/pop ha raggiunto quell’età avanzata – fine quaranta, inizio cinquanta, a seconda di quando si fa risalire l’inizio dell’era – in cui ha più vita dietro di sé che davanti. È come se il puro trascinamento causato dalla massa della sua stessa memoria corporea avesse bloccato il movimento in avanti del pop, inducendo una sorta di implosione temporale: il buco nero del retro senza fine.
Simon Reynolds, Musica, cultura pop e la nostra ossessione per il passato, minimum fax, 2017
Se siamo imprigionati nell’eterno presente che non sa generare niente di nuovo, condannato a reiterare echi del passato, una strategia possibile potrebbe proprio essere – al contrario dell’accelerazionismo dell’hyperpop – una reinvenzione o riscrittura della storia. Aggiunge Reynolds, data l’assenza senza permesso ufficiale del Futuro, coloro che hanno istinti radicali sono costretti a indagare sul passato. Archivisti rinnegati, cercano di scoprire passati alternativi segreti all’interno della narrazione ufficiale, una strategia pionieristica che ora le AI sembrano schiudere con il nuovo suadente fascino della necromanzia digitale.
No, John Lennon è ancora vivo e possiamo ragionare nel presente sulla spinta rivoluzionaria degli anni ‘60. Kurt Cobain canta ancora e possiamo mantenere quell’energia nichilista come reazione incontenibile e viscerale al contemporaneo. Scoprire il “futuro nel passato”, il ritorno di tutta la nostalgia musicale, dal ritorno all’avant-garde anni ‘70 di gran parte dell’elettronica underground, alla nostalgia pop degli anni ‘80 di molta della musica leggera. Non è semplice nostalgia, ma un tentativo di ritorno alle prospettive passate. Più che una ricerca proustiana per recuperare il tempo perduto, si tratta di tornare indietro nel tempo per cambiare il futuro. Come questo sentimento si ripercuoterà prossimamente sulle produzioni artistiche è tutto da vedere e le possibilità aumentano con l’avanzare inarrestabile, almeno sulla carta, della tecnologia. Intanto, il machine learning ci ha portato l’ultima canzone dei Beatles nella quale hanno suonato tutti. Almeno, l’ultima registrata mentre erano ancora vivi.