Black Mirror | Un futuro distopico non così lontano
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Lo schermo di un computer, un tablet o un telefono. O persino quello di un televisore. Sono tutti strumenti tecnologici brillanti e colorati quando sono accesi, ma quando sono spenti, sono degli specchi freddi e neri. Possiamo riflettere le cose in essi, possiamo rispecchiare noi stessi e osservare le nostre possibili espressioni apatiche. Questo, in poche parole, è ciò che vuole esprimere la serie televisiva antologica britannica Black Mirror.
Creata nel 2011 da Charlie Brooker per Endemol Shine Group, è ancora in produzione e ha cinque stagioni al suo attivo. Si tratta di una serie antologica: ogni episodio è autoconclusivo, raccontando una storia diversa (proprio come un’altra serie del 2017 dedicata alla tecnologia e alla fantascienza, Electric Dream tratta da Philip K. Dick). Ma il singolo filo rosso (o nero, in questo caso) li collega tutti allo stesso tema (e, forse, all’avvertimento) di Black Mirror.
Uno sguardo nuovo sulla tecnologia
Il filosofo Herbert Marcuse, negli anni Sessanta, affermò:
La società tecnologica avanzata tende a diventare totalitaria nella misura in cui determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche bisogni e aspirazioni individuali.
O anche:
La tecnologia viene utilizzata per istituire nuove forme di controllo sociale e coesione sociale, più efficaci e più piacevoli.
Black Mirror prende spunto da questi concetti. Ogni episodio, infatti, affronta un aspetto specifico della tecnologia e come questa, in un futuro ipotetico, sia stata creata per rendere più facile la vita umana. Nella serie, però, quello stesso strumento diventa inaspettatamente un mezzo di distruzione, e l’umanità è destinata a soccombere.
Questo è Black Mirror, e non si può fuggire al suo giudizio: se non prestiamo attenzione, la tecnologia che tanto amiamo potrebbe rovinarci. Tuttavia, non si tratta di una riproposizione del vecchio tema “l’intelligenza artificiale diventerà consapevole e distruggerà il mondo”. Anche se è un concetto che affronta alcuni degli stessi problemi. Anche in Westworld, ad esempio, dove alcuni animatronics acquisiscono consapevolezza di sé, la tecnologia si è spinta oltre solo per soddisfare gli istinti umani più brutali.
La caduta dell’autenticità umana
In Black Mirror si considera piuttosto che ogni strumento che abbiamo, dal fuoco allo smartphone, se abusato può diventare uno strumento del male piuttosto che del bene. Per esempio, potrebbe esserci un’intelligenza artificiale che può farci parlare con i morti (come nell’episodio Be Right Back), oppure una società in cui per prenotare un taxi devi essere popolare online, (come nell’episodio Nosedive ). O persino un dispositivo capace di bloccare le persone nella vita reale, costringendole a vedere un’ombra laddove prima c’era una persona (come nell’episodio White Christmas).
Le conseguenze che tutto questo avrebbe sulla psiche umana sarebbero senza dubbio devastanti. E Black Mirror è davvero una serie devastante che vuole esprimere il concetto che, in un mondo in cui la tecnologia la fa da padrona, l’autenticità umana verrà gradualmente a mancare. Lentamente potremmo diventare soldati abituati a un sistema che non ha più a nulla di umano.
Il concetto di spettacolo
Black Mirror basa la sua narrativa sullo spettacolo associato al luogo dal quale noi ricaviamo il nostro intrattenimento. Nella maggior parte dei casi, questo avviene attraverso gli schermi dei nostri dispositivi.
Guy Debord, filosofo degli anni Sessanta, affermò nel suo Società dello spettacolo che per comprendere l’intera società era necessario comprendere lo spettacolo. Difatti dalla rivoluzione industriale, le immagini e le apparenze, in generale, hanno iniziato a governare il mondo, partendo dallo sviluppo massiccio delle case di moda fino alle pubblicità sempre più insistenti.
Negli anni Sessanta, gli anni di Debord, con lo sviluppo della televisione era inevitabile che le persone ne fossero sempre più influenzate. Stavamo già iniziando a relazionarci con gli altri in base a ciò che vedevamo in televisione. Oggi abbiamo sempre più relazioni attraverso un dispositivo: noi, quindi, non appariamo per quello che siamo veramente, proprio come interagiamo con persone che a loro volta mettono in scena una recita. Internet dovrebbe connetterci sempre di più, ma in realtà… se le relazioni non sono autentiche, siamo ancora più disconnessi di prima. Mettiamo in piedi una farsa e, alla fine, non sappiamo più chi siamo veramente.
Lo schermo rotto
Perciò Black Mirror è una serie in cui la verità e l’autenticità delle persone si perdono a favore del progresso tecnologico. E forse è per questo che nell’intro di Black Mirror, lo schermo fittizio attraverso il quale stiamo guardando, alla fine si rompe. Perché dobbiamo rompere gli schemi, lo spettacolo e iniziare a vivere veramente.
Nel 2015 i diritti di Black Mirror sono stati acquistati da Netflix che da allora si occupa della sua produzione. Questo ha reso le nuove stagioni meno cupe e angoscianti, s’intravede qualche lietofine e la tecnologia stessa, in alcuni episodi, non è più così “malvagia”. Un cambio di registro che a molti spettatori non è piaciuto: per loro l’autenticità stessa di Black Mirror è venuta meno. Ironico se si pensa che questo è successo proprio dopo la comparsa di una nuova tecnologia: i servizi di streaming e la fruizione semplificata dei prodotti televisivi.
Forse Black Mirror è già qui
Quando gli spettatori guardano un episodio di Black Mirror, sono spesso colti da un forte senso di angoscia. E non perché hanno appena visto qualcuno morire o per la trama. Quando l’episodio finisce, in una parte della mente c’è la consapevolezza che non stanno guardando qualcosa di totalmente fittizio, e questo, data la natura spesso disturbante della tecnologia, instilla la paura.
Realtà simili sono più vicine di quanto ci si potrebbe aspettare. In un certo senso, Black Mirror è già qui.
La serie è cominciata nel 2011 e ha ipotizzato scenari presentati come futuristici. Ma poi siamo bombardati da alcuni tipi di notizie. Un cane robot (simile inoltre a un robot della Boston Dynamics) viene utilizzato a Singapore per pattugliare un parco. Una madre si rimette in contatto con la figlia morta tramite realtà virtuale. Notizie simili stanno diventando sempre più frequenti.
Tutte queste idee hanno una cosa in comune. Sono già apparse in Black Mirror ancor prima di esistere (il cane robot, per esempio, è il principale “cattivo” nell’episodio Metalhead).
Perciò ci si chiede se anche noi dovremmo aspettarci scenari catastrofici simili. Forse è vero che la tecnologia si sta spingendo troppo oltre.
O forse si dovrebbe considerare Black Mirror un dispositivo come tutti gli altri: uno strumento per creare consapevolezza ma che è, a sua volta, il risultato della tecnologia. Preso con le pinze, esaminato e non idealizzato. Forse la via di mezzo è la soluzione, così come quando ci troviamo a vivere in un mondo con robot maggiordomi e macchine volanti.
L’espansione dell’universo di Black Mirror
Netflix ha autorizzato la creazione di alcuni spin-off di Black Mirror. Uno in Polonia (Czarne Lusterko – “Little Black Mirror“) e uno in America Latina (Stories from our future). Ma non sono gli unici prodotti che si staccano dalla matrice principale.
Nel 2018, è uscito Bardersnatch, un film interattivo: lo spettatore, in alcuni momenti, deve aiutare il protagonista a scegliere come far progredire la storia attraverso le varie opzioni disponibili. Un vero piccolo videogioco, come Detroit Become Human, Life Is Strange, o The Vanishing of Ethan Carter. Ora Black Mirror è quindi un prodotto ibrido. Netflix aveva già creato prodotti con una tale dinamica per bambini. Erica, per esempio, è molto simile, anche se rientra più nella categoria di un videogioco che film (FMC games). Ci si potrebbe chiedere se ci stiamo davvero muovendo verso una nuova forma di cinematografia.
Senza voler distorcere il vero futuro, Black Mirror continua con il suo lavoro: sconvolgere lo spettatore eposodio dopo episodio.
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