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L'uomo nell'alto castello | 'Ciò che avrebbe potuto essere'

Postato il 25 Ottobre, 2023

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E se gli Alleati avessero perso la Seconda Guerra Mondiale?

La serie Tv Amazon L’uomo nell’alto castello racconta questo scenario da incubo. La serie si basa sull’omonima opera distopica, vincitrice del premio Hugo, di Philip K. Dick. Come nel libro, la serie è ambientata nel 1962 e racconta un dopoguerra in cui gli Usa non esistono più. L’Asse ha separato l’America del Nord in due: i giapponesi controllano la costa occidentale mentre il Reich tedesco governa la costa orientale. Nel mezzo c’è una zona neutrale circondata dalle Montagne Rocciose, che rappresentano ciò che resta degli Usa.

Eppure, c’è ancora posto per la speranza in questo triste universo. Iniziano a circolare misteriosi e sovversivi film e cinegiornali in cui viene mostrata una realtà diversa. Alcuni di questi rivelano un mondo al contrario, dove la storia ha preso una piega diversa. Vengono mostrati il bacio a Times Square quando gli Usa hanno sconfitto il Giappone, parate celebrative e anche la fine del Terzo Reich.

Molti americani sembrano essersi abituati alla dittatura, tuttavia alcuni decidono di ribellarsi. I film diventano la scintilla che fa divampare il fuoco della ribellione. La resistenza raduna coloro che sono pronti a rischiare la propria vita per diffondere valori perduti.

“Il destino è nelle mani degli uomini“

Come in alcuni romanzi, tra cui Fahrenheit 451, 1984 o Il Mondo Nuovo, L’uomo nell’alto castello crea stupore e terrore. Eppure, potenzialmente, fa sentire gli spettatori ancora più a disagio per la sua somiglianza a certi aspetti della realtà odierna. Perciò, The Guardian descrive i parallelismi della serie come “profondamente disturbanti”. La serie sembra mettere velatamente il pubblico in guardia, specialmente in un’epoca in cui il razzismo, il nazionalismo e la retorica esasperata stanno risorgendo in tutto il mondo.

La serie tratta anche tematiche filosofiche e morali investigando la responsabilità individuale sotto il totalitarismo. Dimostra che il destino è nelle mani degli uomini e che nulla dovrebbe essere dato per scontato. Senza essere mai banale, riflette sull’avere una morale in un mondo immorale. Allo stesso tempo, mostra però che nessuno è immune ai compromessi.

Ogni personaggio si trova di fronte a scelte difficili e questioni etiche. I protagonisti, specialmente Juliana Crain (Alexa Davalos), John Smith (Rufus Sewell) e Joe Blake (Luke Kleintank), incarnano la latente ambivalenza umana. La serie mostra che nessuno è esclusivamente buono o cattivo, e quanto il contesto possa influire sul nostro comportamento.

Il linguaggio cinematografico irrompe nelle serie TV

L’uomo nell’alto castello ha rinnovato il linguaggio visuale, usandolo come punto chiave nello storytelling. In un’intervista, Gonzalo Amat, il direttore della fotografia, ha spiegato come è riuscito a bilanciare il realismo e la storia alternativa grazie all’uso di luce e trucchi cinematografici. Difatti, la serie ricorre ai primi piani solamente per scene cruciali, mentre l’uso di inquadrature diverse è il segno dell’avanzamento della storia. Anche i movimenti di camera non sono casuali: creano tensione, permettono allo spettatore di scoprire i dettagli uno a uno. La serie è contraddistinta da sequenze lunghe e inquadrature audaci, che contribuiscono a creare una sensazione di disagio.

Inoltre, le palette di colori hanno un ruolo importante nella narrazione. Come in The Handmaid’s Tale, contraddistinguono visivamente i diversi mondi raccontati. Ecco perché l’impero nazista è così scuro e sbiadito e la costa occidentale, invece, è dominata da colori caldi. Per di più, i colori desaturati della zona neutrale, ispirata dai dipinti di Hopper, simulano un ritorno al passato. I colori enfatizzano l’idea che la zona neutrale sia sospesa nel tempo. Per questa precisione e attenzione all’immagine, nel 2016 L’uomo nell’alto castello ha vinto l’Emmy per la Miglior fotografia per una serie girata in single-camera.

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