Maus | Art Spiegelman e la rappresentazione visiva della guerra
Author
Year
Nel 1978 Art Spiegelman vinse la riluttanza di suo padre, Vladek, e lo convinse a raccontare come, da polacco ebreo, fosse sopravvissuto alla Seconda Guerra Mondiale. Basandosi sulla sua esperienza, realizzò un fumetto a puntate su una vita distrutta dall’Olocausto. Quasi quarant’anni dopo, Maus di Art Spiegelman resta un’accurata analisi post-moderna della Seconda Guerra Mondiale.
Pantheon Books pubblicò Maus in diversi volumi, per poi realizzare un’edizione in volume unico; la prima apparizione del fumetto, però, risale al dicembre 1980. Era un inserto in Raw, una rivista fondata il medesimo anno dallo stesso Spiegelman con la moglie Françoise Mouly. Si trattava una rivista influente nel ambito del racconto illustrato: non considerava i fumetti una forma di intrattenimento, ma oggetti di cultura, che meritavano diffusione e analisi.
Maus di Spiegelman è stato il primo e unico graphic novel a vincere il Premio Pulitzer, nel 1992. Nel 2011 l’autore realizzò MetaMaus, una guida completa degli studi dettagliati serviti per realizzare il romanzo illustrato. L’opera include un’intervista a Spiegelman, schizzi, foto e le registrazioni originali di Vladek.
Il racconto di un sopravvissuto
Le prime vignette, in cui Art fa visita al padre a New York, costituiscono la cornice narrativa che porta avanti il racconto. La trama oscilla fra le due linee temporali, dando una visione concreta della famiglia Spiegelman: mentre il focus resta sull’esperienza di Vladek, la cornice consente di comprendere il punto di vista di Art. Il racconto del passato rappresenta per l’autore una scoperta della propria storia, ma gli consente anche di sviluppare la relazione col padre. La storia di Vladek come sopravvissuto si fonde così con quella di Art come figlio che scopre le proprie origini.
Nella prima parte del libro, Vladek parla del matrimonio con Anja, la madre di Art, avvenuto nel 1937. I Nazisti invasero la Polonia poco dopo e Vladek venne mandato in un campo di lavoro forzato. La vita per gli ebrei divenne sempre più difficile. Nel 1943, i Nazisti arrestarono Vladek e Anja e li deportarono ad Auschwitz.
La seconda parte inizia con un balzo temporale nel 1986. Art sta attraversando un blocco dello scrittore: blocco che supera solo quando il padre viene a fargli visita e lui deve ospitarlo a casa sua. Scopre così cose che suo padre gli aveva sempre taciuto, in particolare sui mesi trascorsi fra Auschwitz e Dachau. Vladek racconta in modo distaccato ciò che ha patito fino alla fine della guerra, quando ha ritrovato la moglie e iniziato con lei una nuova vita. L’ultima vignetta mostra le lapidi di Vladek e Anja: lui morì nel 1982, prima che la il finale del fumetto venisse pubblicata.
L’autore evita iperboli, giudizi o commenti personali, ritenendo sufficiente la descrizione di quanto accaduto. Ogni scelta grafica e narrativa è orientata a rendere Maus un’analisi della guerra, un periodo complesso e oscuro in cui nulla era sicuro.
Una lingua ibrida frutto del melting pot
Maus utilizza uno stile linguistico radicato in un certo contesto. Il linguaggio di Vladek è frutto del melting pot degli Stati Uniti, una parlata unica sviluppata dagli ebrei residenti a New York. Una lingua ibrida ritrovabile in alcuni film di Woody Allen, così come in The Marvelous Mrs. Maisel. L’inglese di Vladek segue la strutture grammaticale del polacco e include diverse parole in Yiddish, la lingua parlata dagli ebrei in Est Europa. Alcuni termini Yiddish, come “bagel” o “meshugga“, sono poi diventati parte della parlata americana, in una lingua funzionale all’identificazione culturale.
Il linguaggio di Vladek è scorrevole nei flashback e incerto nel presente, riflettendo la distanza dal suo paese d’origine. Obbligato ad andarsene, si sente come se la sua nazione l’avesse tradito. Sente di non appartenere più alla Polonia, né agli Stati Uniti, dove vive da straniero. La lingua riflette quindi l’alienazione del suo presente, metafora del viaggio in cerca di un luogo sicuro, senza dimenticare le proprie origini. Il titolo stesso è un gioco di parole: “maus” vuol dire “topo” in tedesco, ma richiama anche il verbo “mauscheln” che significa “parlare come un ebreo“.
L’uso della lingua parlata non è l’unica caratteristica dell’arte post-moderna presente nel fumetto. Lo schema narrativo a cornice costituisce un elemento di meta-narrazione, poiché segue il processo creativo che ha portato alla nascita del fumetto. Spiegelman sfuma il confine fra presente e passato. Le interruzioni dei dialoghi e i salti fra le diverse linee temporali rendono evidente il caos nella sua mente mentre ascolta la storia del padre.
Maus e i disegni di Spiegelman come analisi della guerra
In Maus, Spiegelman utilizza gli animali come metafora della nazionalità. Gli ebrei diventano topi, i tedeschi gatti, gli americani cani, i polacchi maiali e i francesi rane. I personaggi che fingono di appartenere a un altro Paese indossano una maschera. Gli animali antropomorfi nei fumetti non costituiscono di per sé una novità: erano già apparsi sia in fumetti per bambini, come Topolino di Walt Disney, sia in fumetti per adulti del circuito underground, come Fritz the Cat di Robert Crumb. Si trattava però appunto di animali antropomorfi, legati a una lunga tradizione di bestie che si comportano da umani. Spiegelman fa un passo in più, diventando il primo illustratore a usare gli animali per mettere in luce differenze culturali. Un mezzo che usa per ottenere un distacco emotivo, rendendo difficile l’immedesimazione.
Maus di Spiegelman è inoltre il primo fumetto a parlare di Olocausto. Avendo a che fare con un tema come il genocidio, Spiegelman decide di lasciar parlare la storia, con una narrazione asciutta e distaccata. Semplifica al massimo sia lo stile narrativo che quello grafico, distaccandosi dagli eventi. Pagina dopo pagina, le vignette sono sempre più neutrali e stilizzate: le linee diventano grezze, le parole sembrano urlate. La narrazione frammentaria, gli schizzi scuri e lo sguardo freddo sugli eventi creano un reportage storico, che non tenta neppure di trovare un senso o una spiegazione, ma si limita a esporre i fatti. Unendo la storia alle sue conseguenze, Maus di Spiegelman si pone come analisi della guerra e punto di vista fortemente personale.
La fondazione di un genere
Maus è uno dei primi libri che siano stati classificati come graphic novel, sulle orme di Will Eisner (The Spirit, Contratto con Dio). Ha consolidato l’idea del fumetto come genere letterario adatto a diversi target, in grado di trattare temi adulti e rilevanti. Spiegelman desiderava uno stile più maturo, legato alla cultura underground. Ispirandosi a Harold Grey (Little Orphan Annie) e Frans Masereel (The City), e in opposizione ai fumetti sui supereroi, ha contribuito a far riconoscere il fumetto come forma d’arte e non mero intrattenimento.
Insieme a due storie targate DC Comics (Watchmen e Il Ritorno del Cavaliere Oscuro), Maus ha cambiato la percezione generale del fumetto. In seguito, grazie anche a editori indipendenti e al mercato in crescita, l’industria del fumetto non fu più dominata da Marvel e DC Comics; il racconto illustrato si è così affermato come un prodotto non indirizzato solo a bambini, ma anche a un vasto pubblico adulto.
Tag
Buy a ☕ for Hypercritic