Nell’arte ci sono opere che non hanno soltanto valore per il fatto di rappresentare una sezione della realtà, sia pure immaginaria, dove possiamo riconoscerci o fantasticare. Ci sono opere che hanno valore anche per il fatto di rappresentare una critica al genere a cui appartengono e alla tecnica con cui prendono normalmente forma. La promessa, romanzo del 1958 dello scrittore e drammaturgo Friedrich Dürrenmatt, e Invito a cena con delitto, film del 1976 diretto dal regista americano Robert Moore, sono un chiaro esempio di come si possa costruire una critica al giallo raccontando un giallo.
- La critica del Dottor H.
- Il giallista è un fingitore
- La promessa d’un poliziotto
- Criticato, ostinato, folle
- La critica è nella risata
- La promessa d’un delitto
- È sempre il maggiordomo
- La promessa critica è mantenuta
La critica del Dottor H.
Nel romanzo La promessa, la prosa di Dürrenmatt, asciutta e scorrevole, suddivisa in capitoli molto brevi, è solo all’apparenza usata per raccontare una storia poliziesca. L’intento si comprende sin dalle prime pagine. All’inizio, infatti, l’autore stesso compare come protagonista. Dopo una conferenza tenuta proprio per parlare del genere giallo, incontra un poliziotto in pensione, il Dottor H, che non riesce a trattenersi dal manifestare il suo punto di vista sull’argomento:
Da quando gli uomini politici deludono in maniera tanto grave […] la gente spera che la polizia sappia mettere ordine nel mondo, benché io non possa immaginare nessuna speranza più pidocchiosa di questa.
La promessa, Friedrich Dürrenmatt (1958)
La critica al giallo di Dürrenmatt comincia così. Per prima cosa, queste storie rassicurano chi le legge. Nutrono la falsa speranza che là fuori, chissà dove, esistano persone disposte a battersi per ristabilire un ordine nel mondo. Ma c’è qualcosa di ben peggiore della necessità morale di distinguere il buono dal cattivo e di punire chi lo merita, che rimane comunque una caratteristica costante del genere.
Quello che mi irrita di più dei vostri romanzi è l’intreccio. Qui l’inganno diventa troppo grosso e spudorato.
La promessa, Friedrich Dürrenmatt (1958)
Il giallista è un fingitore
Il problema sta nel fatto che l’autore di gialli tesse la trama con un criterio logico serrato. Come in una partita a scacchi, vengono riproposti personaggi con medesimi ruoli e movimenti: il delinquente, la vittima, il complice e il profittatore. E anche se è vero che nella realtà la polizia è tenuta a seguire un criterio logico e scientifico, esiste un numero incalcolabile di fattori di disturbo che spesso riducono il successo del detective a “una fortuna professionale o al caso”.
Nelle storie poliziesche, invece, anche quando sembra esserci il caso, ecco subito che diventa frutto di una concatenazione o del destino. Quasi alla fine della sua critica al giallo il Dottor H delinea la differenza tra il detective e lo scrittore di gialli:
Voi scrittori di questo non vi preoccupate. Non cercate di penetrare in una realtà che torna ogni volta a sfuggirci di mano, ma costruite un universo da dominare. Questo universo può essere perfetto, possibile, ma è una menzogna.
La promessa, Friedrich Dürrenmatt (1958)
Prendendo in prestito e riadattando i versi di Fernando Pessoa, “il giallista è un fingitore”. Perché nelle sue storie nulla viene lasciato al caso. Nulla rimane caotico fino alla fine. La concatenazione causale degli eventi domina l’intera narrazione. Ecco come la narrazione rischia di diventare artificiosa. E per dimostrare con ancora più forza la verità del suo discorso il Dottor H è pronto a raccontare lui stesso una storia allo scrittore. È una storia reale che appartiene alla sua carriera passata, ma che non lo riguarda direttamente come protagonista.
La promessa d’un poliziotto
Questo è il momento in cui, con un perfetto corridoio d’ingresso, Dürrenmatt passa da un piano critico, quasi saggistico, e solo in parte narrativo, a un altro piano completamente narrativo che avrà lo stesso valore di un saggio. Una critica al giallo raccontando un giallo.
Il giallo riguarda la morte di una bambina. Un poliziotto di nome Matthäï si mette sulle tracce del colpevole. Il giorno seguente dovrebbe partire per un incarico in Giordania. Tutti i sospetti cadono su un ambulante, il quale, dopo ore e ore di interrogatorio, confessa di essere l’assassino e si suicida in cella. Matthäï è l’unico che non si convince della colpevolezza dell’ambulante. Così, per una promessa fatta alla madre della bambina scomparsa, il poliziotto rinuncia al lavoro in Giordania e trasforma la sua vita in una ricerca forsennata dell’assassino.
All’inizio il racconto del Dottor H non pare diverso da un racconto che avrebbe potuto pensare lo scrittore di polizieschi. Ma è nel suo sviluppo narrativo che dimostra di non tradire l’intento iniziale, quello di dimostrare che lo scrittore di polizieschi è un fingitore e che la realtà è molto diversa da come quest’ultimo la risolve.
Criticato, ostinato, folle
Matthäï, infatti, sembra l’unico a vedere piste e indizi che lo portano a continue delusioni da parte del reale. Ma non per questo abbandona la sua caccia. L’ostinazione caratterizza la sua ricerca. È pronto persino a cambiare le regole e le abitudini della sua vita. Tutto per quella promessa, per il senso di colpa di aver mandato a morte un innocente, per proteggere le bambine future.
È in questa narrazione di un’indagine, che anche quando sembra indirizzarsi verso una risoluzione logica delude le aspettative del protagonista e del lettore, che sta l’intento critico e al tempo stesso il genio di Dürrenmatt. Non è soltanto la storia di un’indagine, ma di quanto un’indagine possa apparire erronea seppur logica, di come possa incidere sulla vita di un poliziotto, portandolo a sprofondare nell’oscurità, nella solitudine o addirittura nella follia. La sua vicenda si spiega benissimo con le parole di Nietzsche:
Chi ha da lottare con i mostri deve star bene attento di non diventare un mostro lui pure. E se tu guarderai troppo a lungo in un abisso, l’abisso finirà per voler vedere dentro a te
Nietzsche, Aldilà del bene e del male (1886 d.C)
La ciliegina la troviamo nel finale, che il Dottor H si è tenuto in serbo per servire una torta perfetta. Quando ormai sembra tutto finito, riceve una chiamata. È la fortuna professionale o il gioco del caso che soddisfa almeno il bisogno del lettore di trovare una chiusura alla vicenda. Ed è in quel momento che il lettore può tornare indietro nella narrazione per comprendere che alla logica di un’indagine non si oppone soltanto il caos, ma anche la ragione dei sentimenti della nostra vita.
La critica è nella risata
Sulla locandina, quando il film uscì in sala, si poteva leggere questo sottotitolo “mentre i più celebri detective del mondo cercano di capire chi l’ha commesso, voi potreste anche morire dal ridere”.
È scatenare la risata il primo intento di Invito a cena con delitto, che si presenta proprio come una parodia del genere poliziesco e che si può considerare a tutti gli effetti l’antenato di film come Knives Out (2019) di Rian Johnson, la cui traduzione in Italia è letteralmente “Cena con delitto”. La trama della pellicola di Moore è ripresa dal celebre romanzo della scrittrice inglese, Agatha Christie, dal titolo Dieci piccoli indiani del 1939.
La promessa d’un delitto
Lionel Twain, eccentrico miliardario, ha invitato presso la sua villa i cinque migliori detective in circolazione, con la promessa che dovranno indagare su un omicidio non ancora commesso. I detective sono caricature di personaggi della letteratura e del cinema – dall’investigatore Hercule Poirot a Miss Marple – e vengono accompagnati da degli aiutanti – la moglie, l’amante, il figlio, l’autista e la badante – trascinati anch’essi a scoprire la verità sulla morte dello stesso Lionel Twain.
Da ricordare la prova di Peter Falk che interpreta Sam Diamante, caricatura a metà tra il suo Tenente Colombo, serie televisiva che lo vedeva protagonista nei panni di un investigatore, e Sam Spade del celebre noir del 1941, Il mistero del falco, diretto da John Huston e interpretato da Humphrey Bogart.
Secondo me un tale che offre un milione di dollari per risolvere un delitto che non è stato ancora commesso, non ha perso solo i capelli al piano attico.
Sam Diamante, Invito a cena con delitto (1976)
L’invito a cena con un delitto ancora da servire è la premessa parodica del racconto poliziesco della Christie. Quello che i detective devono capire prima di tutto è se sarà uno di loro lo sfortunato a lasciarci le penne. I personaggi vengono quindi trascinati nel gioco del miliardario. Con l’ausilio di un maggiordomo cieco, una cuoca sordomuta e una casa capace di ingannare la percezione e il fiuto dei detective, Lionel Twain metterà alla berlina le loro abilità.
In questa circostanza, i detective tentano di penetrare una realtà che gli sfugge continuamente di mano. Il giallo in cui sono coinvolti non è stato costruito da loro e dunque non possono dominarlo.
Siamo tutti nel sacchetto col nostro numero, angelo, e se stasera verrà estratto il mio, pazienza.
Sam Diamante, Invito a cena con delitto (1976)
È sempre il maggiordomo
L’intreccio costruito dallo sceneggiatore Neil Simon è assurdo. L’unico che sembra poter essere stato, il maggiordomo, viene prima trovato morto, e subito dopo il suo cadavere scompare. Le accuse ricadono sulla cuoca sordomuta, ma si scopre essere un robot di ultima generazione. Come trovare una soluzione al delitto? E se non ci fosse soluzione?
Domande come carta igienica vetrata, a lungo andare molto irritante
Ispettore Wang, Invito a cena con delitto (1976)
Tra le gag più divertenti va certamente annoverata l’epica degli aiutanti, di cui Neil Simon decide di esaltare il ruolo sempre secondario e spesso mortale nei racconti polizieschi. Senza il loro aiuto, i detective non potrebbero trovarsi davanti all’assassino.
Ma chi è costui? Sarebbe un peccato rivelarlo qui, ma si possono almeno citare le battute finali in cui “l’assassino” spiega le ragioni che lo hanno portato a quella cena. Costruire una critica al giallo. Mettere i detective, che si rivelano essere in realtà scrittori di polizieschi, di fronte alle menzogne con cui da anni ingannano il loro fedele pubblico. Questi scrittori non si preoccupano di mandare in stampa storie che non hanno indizi autentici per permettere a un lettore attento di anticipare le mosse del detective. Con una concatenazione forzata di eventi lo trascinano passivamente all’interno di una narrazione artificiosa.
Mi sono rifatto a teoria usata di rado oggigiorno: è stato il maggiordomo.
Ispettore Wang, Invito a cena con delitto (1976)
Alla fine del film lo spettatore non dovrà domandarsi se ci sia stato veramente un assassinio. Gli basterà affidarsi alle parole di Peter Sellers, che qui abbandona le vesti dell’investigatore Clouseau per la parte del frizzante Wang: certo è stato “assassinato un bel week-end”, ma non il tempo trascorso davanti a questa parodia superlativa.
La promessa critica è mantenuta
Il romanzo di Dürrenmatt proprio come il film di Moore rimangono fedeli alle loro promesse iniziali. Mantenendo lo statuto di racconti e non di saggi, rappresentano una critica al loro genere di appartenenza. In entrambi i casi, i protagonisti devono affrontare una realtà avversa al fiuto del detective e alla logica scientifica con cui, normalmente, si risolvono le storie poliziesche.
Là dove Invito a cena con delitto fa pensare tra una risata e l’altra e si prepara per irridere con la verità più banale e meno plausibile, ne La promessa il ragionamento è portato avanti dalle conseguenze di una solitudine motivata dal senso di colpa, dal fallimento e dal carattere assurdo della vita. Con il film di Moore si può davvero rischiare di morire dal ridere, con il romanzo di Dürrenmatt, invece, le risate sono spazzate via da un’atmosfera cupa che non regala momenti di conforto.
Il Dottor H termina la sua critica al giallo passando la palla allo scrittore. Probabilmente quest’ultimo sta già escogitando un modo per trasformare la storia reale in una menzogna.
Una storia assurda, come quella di chi crede nell’innocenza di un colpevole e cerca un assassino inesistente, risulterebbe invece logicissima.
Friedrich Dürrenmatt, La promessa (1958)
Effettivamente, la concatenazione causale degli eventi è ciò che permette al lettore attento di seguire l’indagine senza la costante sensazione di passività. Mentre si legge un giallo, ci si illude di poter anticipare le pagine arrivando anzi tempo alla risoluzione del caso. E di sicuro questa rimane una delle ragioni per le quali il genere non è ancora passato di moda.