La porta si chiude sferragliando alle nostre spalle. Di fronte a noi il cielo filtra dall’inferriata. Intorno, una branda e un tavolino, la porta del bagno aperta, pochi effetti personali.
Siamo in cella.
È un inizio potente quello di VR Free, cortometraggio in realtà virtuale realizzato da Milad Tangshir nella casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino. Il lavoro viene presentato a Procida per la prima edizione di OndeVisioni. E la sede scelta per l’esperienza è ancora una cella, questa volta in disuso, nel vecchio carcere borbonico di Palazzo d’Avalos, oggi adibito a spazio culturale. Qui il fragore delle onde si sente da lontano e rende ancor più insopportabile il pensiero del carcere, in un luogo da cui si vede tanta bellezza e dove gli elementi esprimono tutta la loro forza: il vento, il cielo terso e più profondo, lontano, l’azzurro del mare.
La vita dentro
Nel visore della realtà virtuale le immagini diventano improvvisamente più familiari: la tangenziale di Torino, il casermone del carcere alla periferia nord della città. Un edificio che siamo abituati a vedere da lontano. Invece questa volta si entra tra i corridoi, nelle celle, negli spazi comuni dove carcerati e guardie condividono la quotidianità.
Ci voltiamo a destra, a sinistra, incrociamo sguardi di origine diversa. Poche battute interrompono il vociare indefinito delle attività del carcere. Il laboratorio di piccole riparazioni, il campo da rugby, l’ora d’aria. Ruotando sullo sgabello abbiamo una vista a 360 gradi, se di vista si può parlare. Perché il campo è delimitato da mura alte sui quattro lati. Tutto ciò che si vede è un rettangolo di cielo.
Il mondo fuori
Nella scena successiva un detenuto compare di fronte a noi. Sembra quasi di trovarsi davanti a uno specchio, perché indossa un visore proprio come il nostro. È come trovarsi davanti alla vita come poteva essere, come potrebbe ancora essere. Noi lì dentro e lui al posto nostro, a Procida, a guardare un film.
Con il visore sul capo, l’uomo si aggira nella cella. Ride, è curioso, esplora, si meraviglia. Frammenti della vita fuori gli scorrono davanti agli occhi. Improvvisamente, un sussulto. Moglie e figlia gli compaiono davanti: ciao, papà.
VR Free di Milad Tangshir è un’opera bifronte che mostra il carcere a chi sta fuori, con l’ottica immersiva che solo la realtà virtuale può offrire. Allo stesso tempo fa vivere ai detenuti frammenti della vita esterna, con un incrocio sorprendente.
Un universo parallelo
Tangshir è un regista iraniano di 38 anni, in Italia dal 2011, che ha studiato cinema all’Università di Torino. Dopo aver lavorato a una serie di cortometraggi, documentari e progetti di realtà virtuale, sta per esordire con il suo primo lungometraggio. “Speriamo di andare in produzione fra qualche mese”, dice.
Quali sono state le principali difficoltà nella realizzazione di un cortometraggio in carcere?
Molte. Il carcere è un luogo ostile nei confronti dell’immagine. Già solo portarvi attrezzature e una progettualità non è facile. È un territorio pericoloso, fragile, sopratto per i detenuti. Creare un processo condiviso e guadagnarsi la loro fiducia è un’impresa.
Cos’hai imparato da questa esperienza?
Camminare in un luogo detentivo è come trovarsi in un Paese lontano. Poi ti rendi conto che la soglia di un errore è molto sottile e finire lì è molto più semplice di quanto noi immaginiamo. Ho potuto veder applicati concetti molto complicati che avevo studiato, come la mancanza di affettività e i ricordi.
Pensi che la realtà virtuale possa offrire prospettive concrete di impiego in carcere?
Di sicuro nel futuro dovremo fare i conti con il concetto dell’immagine in carcere. Per me questo nuovo medium è stato uno strumento per sperimentare l’interno di questo luogo. L’obiettivo era usare la realtà virtuale per incuriosire ed emozionare. Il mio lavoro è questo: non dare risposte né giudicare, ma emozionare, in modo che il pubblico sia più pronto e disponibile a instaurare un dialogo.
Siamo a Procida per OndeVisioni: qual è il film che reputi più visionario?
Ce ne sono tanti ma fra tutti scelgo Toro Scatenato di Martin Scorsese, per la sua poesia e perché mostra che un’opportunità di redenzione è per tutti possibile.
Il cinema nei luoghi di detenzione e di cura
L’utilità e l’opportunità di impiegare le nuove tecnologie dell’audiovisivo in carcere o nei luoghi di cura è uno dei temi esplorati a OndeVisioni. La disponibilità di strumenti più adattabili e flessibili di una sala cinematografica apre a una fruizione del mezzo in luoghi da cui era assente.
Fra questi ci sono anche istituzioni totali, come il carcere. Esperienze come VR Free fanno capire quanto sia importante per chi sconta una pena rimanere in contatto con il mondo esterno. In questo la realtà virtuale può aiutare. “Ma essere prigionieri davanti a un paesaggio splendido è un bene o un male?”, si è chiesto il saggista Raffaele Alberto Ventura durante la tavola rotonda Il desiderio è futuro, organizzata a OndeVisioni.
Un altro orizzonte tutto da esplorare è l’impiego terapeutico della realtà virtuale, offrendola a chi si sottopone a cure lunghe e logoranti. Anche la Rai studia questa prospettiva, dopo aver inaugurato una sala cinema al Policlinico Gemelli, uno dei maggiori ospedali italiani con il quale ha avviato anche una ricerca sulla cinematerapia.