Il Piccolo Vagabondo di Crystal Kung | Ogni luogo può essere casa
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“Non tutti coloro che vagano sono persi”, spiega Gandalf ne La compagnia dell’anello. Intorno a questo tema – il vagabondare – ruota la prima opera dell’illustratrice Crystal Kung, Il Piccolo Vagabondo. Il mondo odierno appare caotico, difficile da capire, e attraversarlo può portare a perdere qualcosa lungo la strada. Che siano ricordi o obiettivi, un punto di partenza o una destinazione, o anche la propria identità. In momenti simili, niente è più ben accetto di una luce nell’oscurità, che guidi i viandanti verso casa.
Il bizzarro protagonista di questa graphic novel è proprio una scintilla di luce. Un ragazzino che emerge dalla folla per offrire un senso di appartenenza a chi è smarrito, sebbene lui stesso non sia legato ad alcun luogo. Pubblicato nel 2016, Il Piccolo Vagabondo è diventando ben presto una perla del suo genere, che accompagna in un viaggio autobiografico e di scoperta di sé, mano nella mano con un misterioso accompagnatore. Ha vinto il Taiwan Golden Comic Awards come Miglior Nuovo Talento nel 2017 ed è stato pubblicato in italiano dalla casa editrice BAO Publishing nel 2018.
La narrazione muta de Il piccolo vagabondo
Lo stile narrativo di Kung risalta per la sua totale mancanza di parole. Nessun dialogo, nessuna onomatopea, nessun suono appare nel mondo colorato che si apre davanti agli occhi a ogni pagina. L’unico barlume di contesto fornito prima di ciascuna delle sei storie è un titolo, una breve citazione e un luogo. Oltre a questo ci sono solo immagini.
Luoghi e personaggi diversi, unici nella loro ricerca personale eppure tutti con qualcosa in comune. Dal ciclista sperduto tra le montagne tibetane alla ritrattista che fatica a farsi notare a Central Park. Dalla giovane ragazza che cerca la chiave per la libertà tra le strade di Taipei, all’anziano che insegue ricordi perduti sotto la pioggia di Shanghai. Tutti loro sono vagabondi che hanno perduto la propria strada in un mondo estraneo e al contempo familiare. Le loro storie sono narrate attraverso gesti, sguardi e ricordi, un linguaggio naturale che non ha bisogno di parole. Ed è grazie all’assenza di tale barriera che questi racconti parlano direttamente al cuore, trasmettendo un messaggio universale nella sua semplicità. Che ogni luogo può diventare casa per chi vaga.
Animato, non illustrato
Il ruolo delle immagini è fondamentale in ogni narrazione, e ancor di più nel caso di un libro muto. Sta alle immagini dare forma all’universo della storia, conferire una personalità e una voce ai personaggi, portando avanti il dialogo intimo con chi legge. Ne Il Piccolo Vagabondo, a creare questo effetto è l’uso di colori e vignette, molto più simili ai fotogrammi di un film d’animazione che alle griglie fisse di un fumetto.
La composizione delle illustrazioni, in continua evoluzione, e i contorni sfocati contribuiscono alla sensazione onirica che permea l’intera graphic novel. Un’alternanza di campi lunghissimi e primi piani, legati tra loro dall’armonia dei colori accesi, come se fossero visti attraverso gli occhi di un bambino. O attraverso gli obiettivi della cinematografia color pastello di Wes Anderson in Grand Budapest Hotel.
Una guida onnipresente
Il filo conduttore tra ciascun capitolo è proprio il piccolo vagabondo. Un bambino sorridente che appare dal nulla per venire in aiuto di coloro che si sono perduti. Un ragazzo che ricopre il ruolo di deus ex machina in maniera quasi magica. Durante la lettura, la sua rassicurante innocenza è fonte di conforto sia per i personaggi sia per chi legge. Il mistero che lo circonda ricorda sia Momo sia Il Piccolo Principe, con la loro saggezza che va oltre i ragionamenti degli adulti.
Un’autoproiezione dell’autrice conduce chi legge attraverso tutte le città visitate da Kung durante la sua vita. E come lei ha scoperto viaggiando la propria identità, il piccolo vagabondo è pronto ad aiutare tutti coloro che vagano a trovare se stessi.
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