Boyhood | Quando il cinema cattura la vita reale
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Boyhood | Quando il cinema cattura la vita reale

Boyhood | Quando il cinema cattura la vita reale

Postato il 27 Novembre, 2023

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È innegabile che l’avvento del cinema abbia stravolto la concezione tradizionale del tempo. Il linguaggio cinematografico ha infatti messo in discussione la progressione lineare che unisce passato, presente e futuro. Il tempo sullo schermo ha perso la sua omogeneità, rivelando una nuova complessità. Basti pensare, per esempio, a come il montaggio ha manipolato l’asse temporale utilizzando strumenti narrativi come il flashback o il flashforward. O semplicemente si pensi a quanto alcuni effetti cinematografici come lo slow-motion abbiano influenzato la percezione temporale degli spettatori, dilatando anche le emozioni di una scena. Ma una cosa è certa: riuscire a far coincidere il tempo della narrazione con il tempo della realtà è una sfida pressoché impossibile. Eppure, Boyhood di Richard Linklater sembra averla in qualche modo vinta.

Girato in Texas dal 2002 al 2014 con lo stesso cast, Boyhood è un esperimento cinematografico durato dodici anni. Infatti, la caratteristica principale del film è che il suo cast cresce e invecchia letteralmente sullo schermo davanti agli occhi degli spettatori. E lo fa in modo incredibilmente compatto. Boyhood ha un forte legame con il mondo reale e con la verità dei sentimenti umani, con la realtà dell’esistenza e il trascorrere del tempo. In fondo, non è altro che un film raccontato dal tempo e dalla sua continuità. La storia di una famiglia e della strada che ha davanti a sé. Senza possibilità di tornare indietro.

Richard Linklater ha fatto del tempo un tema centrale del suo lavoro e la sua firma personale. Infatti, la maggior parte delle sue opere, come La vita è un sogno (1993), la trilogia Prima dell’alba (1995), Before Sunset – Prima del tramonto (2004) e Before Midnight (2013), e Tutti vogliono qualcosa (2016), sono incentrati su questo tema.

The 12-Year Project

Boyhood racconta dodici anni della vita di Mason Jr. (Ellar Coltrane), dai sei ai diciotto anni, a partire dalla scuola elementare fino all’ingresso al college. Insieme a lui ci sono la sorella maggiore Samantha (Lorelei Linklater) e i genitori divorziati Mason Sr. (Ethan Hawke) e Olivia (Patricia Arquette). Il pubblico segue l’infanzia e l’adolescenza di Mason Jr, il suo rapporto con la sorella e le diverse scelte di vita dei genitori.

Accolto con il plauso unanime della critica, Boyhood o The 12-Year Project (così il cast e la troupe si riferivano al film durante le riprese) si è classificato al quinto posto nella classifica dei migliori film di tutti i tempi stilata da Metacritic. Il film è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2014. Ha partecipato al 64° Festival internazionale del cinema di Berlino, dove Linklater ha vinto l’Orso d’argento per il miglior regista. Alla 72ª edizione dei Golden Globe, Boyhood ha vinto come miglior film drammatico, miglior regia e miglior attrice non protagonista per Patricia Arquette. Infine, è stato candidato a sei premi Oscar all’87ª edizione degli Academy Awards, vincendo nuovamente per la migliore attrice non protagonista.

Un senso di continuità

La continua evoluzione del linguaggio cinematografico ha permesso di testimoniare la crescita e maturazione di persone reali all’interno di narrazioni visive. È sufficiente ricordare gli interpreti della serie di film di Harry Potter, che il pubblico ha visto crescere nel corso della saga. O anche alle serie televisive di lunga durata, come Grey’s Anatomy, che vedono il cast invecchiare nel corso delle stagioni. Inoltre, la recente tecnologia ha reso possibile l’invecchiamento e/o il ringiovanimento dei personaggi. È il caso, per esempio, del volto di Brad Pitt ne Il curioso caso di Benjamin Button (2008) o di Will Smith in Gemini Man (2019). Ma, come afferma il critico cinematografico e televisivo Matt Zoller Seitz nella sua recensione per RogerEbert.com, il pubblico “non l’ha mai visto accadere in un arco di tempo così ridotto sullo schermo. È questo che rende Boyhood singolare. Non c’è nessun’altra opera a cui si possa paragonare direttamente senza distorcere la storia della cultura pop.”

Boyhood, quindi, dà molta più importanza a come viene raccontata la storia rispetto a ciò che viene narrato. Il risultato è un ambizioso esercizio cinematografico che è riuscito a conservare una notevole continuità e fluidità lungo le sequenze girate nel corso dei dodici anni di riprese. In effetti, il film ha una compattezza unica dal punto di vista visivo grazie soprattutto alla fotografia di Lee Daniel e Shane F. Kelly, e al montaggio di Sandra Adair, che lavora con Linklater dal 1993. Tutto ciò è garantito anche dalla scelta del regista di girare il film su pellicola. In questo modo Boyhood non appare mai come un documentario realizzato con molteplici video di famiglia fatti in casa.

Una colonna sonora che segna il passaggio del tempo

In Boyhood, a fare da sfondo al passaggio del tempo e a scandire lo scorrere degli anni è soprattutto la colonna sonora. Per farlo, il regista – con l’aiuto del supervisore musicale Randy Poster – ha scelto una serie di hit di successo che hanno caratterizzato il decennio di riferimento. Così, canzoni celebri come Yellow dei Coldplay, Crazy dei Gnarls Barkley, o Deep Blue degli Arcade Fire permettono di far avanzare la storia e di trasmettere a chi guarda la maturazione di Mason e della sua famiglia.

In un’intervista, Linklater ha dichiarato di aver dovuto abbandonare l’idea di una colonna sonora uniforme proprio perché non avrebbe funzionato con l’intenzione di Boyhood di mostrare il passaggio biologico del tempo. Per questo motivo, ogni anno ha tenuto d’occhio le classifiche scegliendo brani che avessero anche un significato culturale. Di conseguenza, le canzoni presenti nel film assumono un valore molto più significativo. Servono infatti a esprimere l’evoluzione degli interessi del protagonista durante la sua crescita. Proprio come accade a ciascuno di noi nella vita reale.

Un film sul tempo

Alla fine, Boyhood non è altro che un tentativo cinematografico di raccontare il tempo biologico. Infatti, se da un lato è la semplice storia di una famiglia (simile a This is Us, ma senza il cambio di interpreti per impersonare lo stesso personaggio in diverse età), dall’altro è anche il racconto e la rievocazione di un tempo che tutti abbiamo vissuto.

Il film, in realtà, segue sullo sfondo i principali eventi che hanno segnato la storia americana degli anni 2000 e che sono penetrati nella nostra coscienza collettiva, strutturando anche il nostro pensiero – sia che li abbiamo vissuti attivamente o passivamente.

In conclusione, Boyhood è un ritratto realistico di un presente che non torna mai indietro, ma continua ad andare avanti per la sua strada, a volte perdendo qualcosa e altre guadagnando qualcos’altro. Proprio come il presente di ognuno di noi.

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