Ghost in the Shell può essere considerato una vasta analisi delle possibili conseguenze dell’ibridazione umano-macchina. Si interroga su cosa significhi essere vivi e cosa sia un essere umano in un’epoca in cui l’umanità è capace di programmare, memorizzare e hackerare facilmente l’anima, il cosiddetto ghost. Così le missioni che la protagonista Motoko Kusanagi affronta ruotano sempre attorno ai rischi di una società altamente computerizzata e tecnologica. (Spoiler alert)
Ghost in the Shell è un franchise giapponese di genere cyberpunk basato sul manga di Masamune Shirow nel 1989. Mamoru Oshii l’ha portato alla fama mondiale con il suo film del 1995. Da allora è una pietra miliare della narrativa fantascientifica e cyberpunk. Ambientato in un mondo post-cyberpunk, è incentrato su un’organizzazione antiterroristica fittizia, chiamata Sezione di Pubblica Sicurezza 9 (PSS9), guidata dal maggiore Kusanagi e ogni versione della storia si svolge nel Giappone della metà del XXI secolo.
La serie di manga ha portato ad adattamenti anime, videogiochi, TV e film e ha influenzato registi come le Wachowski, che hanno realizzato la serie Matrix. La sua influenza è evidente anche nei videogiochi, come Metal Gear Solid di Hideo Kojima, la saga di Deus Ex o il più recente Cyberpunk 2077. Tuttavia, Ghost in the Shell è più vicino alla narrativa post-cyberpunk, perché si concentra maggiormente sulle implicazioni sociali e filosofiche della tecnologia, con forti elementi polizieschi e un accento meno pronunciato sulla ribellione alla società.
Umano o macchina?
Adattamento fedele del manga originale, Ghost in the Shell è considerato da fan e critica uno dei migliori film d’animazione di tutti i tempi, insieme ad Akira (1988). Il maggiore Motoko Kusanagi naviga i temi dell’esistenzialismo e analizza ciò che distingue un singolo individuo dagli altri, cercando anche di definire cosa rende un essere umano tale. Mentre la versione manga è più leggera e provocatoria, Motoko nel film appare seria e distaccata. Tuttavia, in entrambi i casi un dubbio permane per tutta la durata della storia.
Cosa rende Motoko sicura di essere umana e non una macchina? Sicché tutto il suo corpo è artificiale, tranne il cervello, si sente umana solo perché gli altri la considerano tale. Può anche contare sui suoi ricordi, ma questo non basta, perché in questo mondo le persone possono falsificarli digitalmente. Così, mentre il suo ruvido collega Batou non ha dubbi sulla sua umanità e liquida le sue preoccupazioni come insignificanti, Motoko non si sente in diritto di considerarsi umana. Inoltre, si sente in qualche modo ingabbiata nel suo corpo, al punto da considerare i miglioramenti tecnologici di questo involucro materiale come un semplice punto di partenza per qualcosa di più grande.
Il film rappresenta meglio questo senso di incertezza. Le lunghe panoramiche della gigantesca città giapponese in cui è ambientato sono intrisi di simbolismo e sono finestre sui pensieri di Motoko. Ad esempio, uno sguardo a un aereo che sorvola la frenetica città è sinonimo di una sensazione di libertà. Il manga, invece, presenta tavole estremamente dettagliate, in cui il lettore potrebbe perdersi, ma contiene anche idee visive efficaci. La rete globale, ad esempio, appare come un gigantesco albero fittamente ramificato, che ricorda allo spettatore l’Albero della Vita e il sistema nervoso centrale.
Ghost in the Shell: l’ibridazione tra umano e macchina
Durante l’indagine sul Marionettista, un hacker in grado di violare il cervello di altre persone, Motoko si interroga ripetutamente sui confini tra vita organica e sintetica. Se un cervello cibernetico potesse generare un’anima, diventerebbe difficile distinguere tra umani e robot. Il Marionettista rappresenta esattamente questo caso. Si tratta di un essere vivente e pensante nato dalla rete globale. Mentre svolgeva i compiti assegnati dai suoi programmatori, ha sviluppato la coscienza di sé e, quindi, un’anima.
Mentre Motoko desidera inconsciamente essere qualcosa di più di un essere umano, il Marionettista vuole diventare un vero e proprio essere vivente, capace di riprodursi e morire. Per farlo, chiede a Motoko di fondersi in una nuova creatura, offrendole i suoi sconfinati poteri digitali. Quando Motoko sente la proposta, è come se tutti i pezzi andassero al loro posto. Crede di aver trovato la risposta ai suoi dubbi e accetta.
Ghost in the Shell non si concentra quindi solo sugli esiti distopici dell’ibridazione uomo-macchina: viene anche considerata un’altra prospettiva, ovvero la possibilità di ampliare l’orizzonte dell’umanità, di espandere l’idea stessa di vita.
Ghost in the Shell 2: Un’inquietante somiglianza
Uscito nel 2004, anche Ghost in the Shell: Innocence è stato scritto e diretto da Mamoru Oshii. In questo sequel, i protagonisti sono altri due membri del PSS 9, Batou e Togusa, mentre Motoko sembra essere scomparsa. La trama è ancora una volta un giallo. I protagonisti devono scoprire la causa del malfunzionamento dei ginoidi, una sorta di robot-concubine che hanno iniziato a commettere omicidi.
Invece dell’ibridazione, il film parla dell’effetto speculare e inquietante tra umani e robot e del valore della vita nelle sue varie forme. Uno degli enigmi centrali è: se un essere vivente sembra vivo, vive davvero? Se gli esseri umani sono definiti dalla loro esperienza e dai loro ricordi, che si possono creare, manipolare o forgiare digitalmente, ciò che ci rende umani è un mero meccanismo che può essere scomposto nelle sue parti e duplicato. Il design dei ginoidi evidenzia questo inquietante modello di macchina umanoide. Invece di renderli il più possibile simili alle persone, Oshii si è ispirato alle bambole di Hans Bellmer. Da questo punto di vista, gli esseri umani sono marionette, meccanismi che seguono ciecamente il loro compito: la sopravvivenza. La vita stessa risulta essere un algoritmo, che può manifestarsi sia su un hardware organico che sintetico.
Il valore della vita
Tuttavia, il nucleo più profondo del film non è che tutto ciò che vive è materia senza scopo, dedita solo alla sopravvivenza. Batou e Togusa dimostrano che le persone (e i cani) che si prendono cura di te rendono la vita molto più che il semplice rimanere in vita. Inoltre, durante l’indagine, Batou arriva a capire che ogni vita ha un valore ed è degna di esistere. Questo vale sia per gli esseri umani che per i robot. Quando alla fine scopre che le anime dei bambini sono state inserite illegalmente nei ginoidi, una caratteristica che le ha rese particolarmente popolari, Batou prova dolore, soprattutto per i robot. Hanno sofferto e sono stati maltrattati tanto quanto i bambini e teme che probabilmente l’umanità non considererà mai i robot come esseri viventi.
Ghost in the Shell: Stand Alone Complex: l’ibridazione delle coscienze
Scritto e diretto da Kenji Kamiyama, Ghost in the Shell: Stand Alone Complex è l’adattamento animato del franchise. Andato in onda dal 2002 al 2003, si basa e si ispira principalmente al manga originale per le idee visive e i personaggi. Con una Motoko molto più diretta e provocatoria, la serie approfondisce i personaggi e il mondo di GitS. In questo caso, l’ibridazione non riguarda solo gli innesti corporei e mentali dei singoli, ma anche i comportamenti sociali. La prima stagione esplora il rapporto tra una società sempre più interconnessa e la tendenza a imitare generata dalla presenza oppressiva dei media e dalla cultura dei meme.
Lo Stand Alone Complex è un fenomeno in cui un evento, di solito un incidente, entra nel subconscio collettivo. Poi, grazie a delle imitazioni, persone a caso lo riproducono e lo modificano leggermente, diffondendolo in modo incontrollato. In GitS, l’umanità si collega costantemente attraverso la rete, utilizzando i cyber-cervelli per interfacciarsi ovunque e in qualsiasi momento. Anche se i social network non erano ancora diventati virali quando la serie è uscita, la situazione risulta molto familiare. Grazie alla connessione veloce e continua, è molto più facile condizionare e influenzare le persone. Questo apre la strada all’innesco del Stand Alone Complex. Le persone iniziano a replicare incidenti casuali e non correlati, pensando che si tratti di attacchi terroristici collegati e deliberati. I protagonisti si trovano ad affrontare un’escalation di azioni violente, incoraggiate dalla convinzione che dietro di esse ci sia un presunto disegno più grande.
L’interessante caso dei Tachikoma
Stand Alone Complex esplora ulteriormente l’interfaccia umano-macchina attraverso i Tachikoma, i carri armati simili a ragni del PSS9 dotati di una complessa intelligenza artificiale. Attraverso la loro voce e i loro comportamenti infantili, si comportano come bambini alla scoperta del mondo che li circonda. Spesso in contrasto con Motoko, che fatica ad accettarsi come umana a causa del suo corpo completamente robotico, i Tachikoma pongono domande filosofiche e si interrogano rapidamente su cosa siano realmente e se siano effettivamente vivi, facendo sbiadire la distinzione tra vita organica e costrutto meccanico.
Crisi geopolitica in una società cibernetica
La seconda stagione, Stand Alone Complex 2nd Gig, andata in onda dal 2004 al 2005, si concentra maggiormente sulle problematiche internazionali, pur mantenendo il tema standard di Ghost in the Shell dell’ibridazione mente-macchina. Mescolando la trama della cospirazione politica e degli esuli di guerra, SAC 2nd Gig continua a esplorare il rapporto tra la rete, i social media e l’individuo, mostrando come ogni sistema influenzi l’altro e crei nuove idee nel subconscio collettivo.
Inoltre, la serie analizza il background dei membri della Sezione 9 e fa luce sul passato di Motoko. Il Maggiore affronta il suo trauma e fa i conti con il suo corpo completamente cibernetico. Affronta Hideo Kuze, l’antagonista della stagione, un uomo con un corpo completamente sintetico come quello di Motoko, che combatte contro il governo giapponese in difesa di un gruppo di rifugiati di guerra. Inoltre, il gruppo terroristico Individual Eleven agisce nell’ombra contro gli esiliati. Il gruppo è composto da persone infettate da un virus informatico. Questo programma inculca nelle persone un insieme di ideali, costringendole a perdere l’individualità e a fondersi con la rete. Man mano che più persone vengono a conoscenza dell’Individal Eleven, compaiono degli imitatori e alla fine il virus li infetta. Questi aumentano il potere del gruppo e portano a Stand Alone Complex nella popolazione generale.
Ghost in the Shell: Solid State Society
La conclusione della trama di Stand Alone Complex è il film Solid State Society, uscito nel 2006. La PSS9 affronta una cospirazione che mira a creare una nuova società hackerando le menti di bambini rapiti. Con un richiamo diretto al film originale di Oshii, Motoko affronta ancora una volta una coscienza artificiale nata dalla rete. In questo caso, però, Motoko non abbandonerà le catene con cui la società umana l’ha legata. Si limita a riflettere su come la rete sia infinita.
Umanità 2.0
Il modo in cui Ghost in the Shell affronta il tema dell’ibridazione suscita diverse domande che ancora oggi sono più attuali. Come si comporterà l’umanità nel suo rapporto con la tecnologia, con internet, con i miglioramenti cibernetici? Questo franchise è uno strumento utile per immaginare i pro e i contro di ciò che gli esseri umani potrebbero diventare grazie ai miglioramenti tecnologici.
Ghost in the Shell vanta una vasta gamma di altre opere, dall’animazione ai videogiochi. Il mangaka Masamune Shirow ha scritto altri due volumi su di esso (GitS 2.0 nel 2001 e GitS 1.5 nel 2003). Nel 2013 è apparsa anche una serie prequel, Ghost in the Shell: Arise, sia in versione anime che manga, che racconta la formazione della PSS9. Nel 2017 è uscita una versione live-action con protagonista Scarlett Johansson. L’ultima serie, GitS: SAC_2045, è uscita su Netflix nel 2020. Ghost in the Shell: Innocence è stato il primo anime a concorrere per la Palma d’Oro nel 2004.