Martino Gozzi e Maria Lai | Quando scrittura e arte hanno un impatto sociale

Postato il 08 Agosto, 2023

In una calda serata di luglio, durante il terzo appuntamento di Hypercritic Burning Festival, un nastro rosso passa tra le mani dei presenti in un appartamento storico di Torino. Alcuni sono seduti su sedie e poltrone, altri su cuscini adagiati al parquet. Nessuno di loro sa cosa stia accadendo, ma la sensazione è quella di partecipare a un piccolo rito collettivo. Per capire fino in fondo bisogna tornare indietro al 1981, quando nel paesino sardo di Ulassai l’artista Maria Lai mette in scena la sua ultima opera, Legarsi alla montagna. Ne dialogano lo scrittore Martino Gozzi e Hélène Carlotta Lupatini, co-fondatrice del collettivo Moth e collaboratrice di Hypercritic.

Maria Lai e la sua ultima opera

L’idea di Maria Lai è di legare tutte le case del paese – e la montagna – con un nastro celeste, simbolo di speranza e salvezza. L’origine di tutto è una leggenda popolare del paese: una bambina riuscì salvarsi da una frana perché attirata da un nastro celeste.

La realizzazione dell’opera non incontra i favori della gente. Alcuni paesani non vogliono legarsi alla casa vicina: tra loro non passa solo amicizia, ma anche astio e talvolta fatti di sangue. Fatti che riguardano la stessa famiglia Lai. Per questo che la donna decide di realizzare l’opera proprio lì, “Perché Ulassai è il mondo”. Farlo in quel luogo corrisponde a farlo ovunque.

I nastri sono il simbolo dell’arte, sono leggeri, effimeri, sono appena un colore. Non servono a nulla.

Maria Lai

Risulta allora evidente come l’arte – nonostante o proprio grazie alla sua leggerezza – sia in grado di risollevare i rancori, gli asti e i non detti di intere generazioni.

Martino Gozzi e Il libro della pioggia

Un valore sociale esplorato anche da Martino Gozzi, scrittore e amministratore delegato della Scuola Holden, nel suo ultimo romanzo, Il libro della pioggia (Bompiani, 2023). Un libro autobiografico e un memoir che racconta del congedo “lungo ed eroico” di Simone, amico di una vita di Martino. Questo romanzo diviene la via per ripercorrere la loro amicizia e in senso più ampio, la vita. La musica, la pioggia e la crescita riempiono con costanza le sue pagine, ma poco prima della metà si incontra quello che lo stesso Gozzi definisce un punto di svolta.

L’autore riceve un’e-mail in cui viene invitato a tenere un corso di scrittura in un reparto di oncologia.
Per lo scrittore, questa richiesta è un punto di riflessione ma soprattutto è la possibilità di fare qualcosa. Non un comune qualcosa ma quello che si ricerca quando si affianca una persona cara in un momento di profonda sofferenza. Ma è davvero possibile fare qualcosa attraverso la scrittura?
La risposta non giunge attraverso disquisizioni filosofiche ma attraverso ciò che il lettore si trova in mano: Il libro della pioggia. Lui scrive perché crede in un potere terapeutico che non ha a che fare con la guarigione.

Il potere terapeutico della scrittura

“C’è una frase di Mary Shelley che dice: ‘I poeti sono i misconosciuti legislatori del mondo’ – spiega Gozzi – E io sono davvero convinto di questo. Abbiamo un’enorme quantità di prove che raccontare le storie – attraverso la parola in tutte le sue forme: dalla poesia, al canto, al racconto orale – abbia il potere di sanare delle ferite che sono anche lutti collettivi, traumi collettivi. Come? Non portando alla guarigione, io non penso nemmeno che la guarigione esista in molti casi e sia una parola fuorviante che ci porta a concepire la difficoltà, la sofferenza, la malattia, il trauma, come parentesi che possiamo – lavorando sodo – chiudere al più presto”.

“Mettendo da parte la guarigione però, le parole hanno proprio il potere di fare questo, di unire tutti – aggiunge l’autore – Pensate quando siamo a un concerto e cantiamo tutti insieme la stessa canzone. Tutti con il corpo, tutti con la voce, tutti lì presenti nello stesso momento”.

“Qualcuno una volta mi ha detto che quando cantiamo non riusciamo a pensare ad altro – è la conclusione – Cento, duecentomila persone che cantano insieme si raccontano una storia, fanno parte di una storia, vivono un’esperienza in quel momento di grande unità, di grande sintonia, quasi di simbiosi… che magari non è salvifica però è quell’intensità e quel tipo di emozione che ti consente di essere nel presente.” 

Legarsi alla montagna

Anche l’opera di Maria Lai è un tentativo di unione nonostante le distanze, le differenze. Per essere realizzata, Legarsi alla montagna necessita di una forte mediazione. Per un anno e mezzo l’artista va a parlare di porta in porta, giungendo infine a un compromesso: nelle case in cui intercorre amicizia, i proprietari avrebbero legato al filo una forma di pane, simbolo di condivisione e affetto. Nelle case in cui i rapporti sono tesi, il nastro sarebbe passato allo stesso modo, teso.
L’opera riesce l’8 settembre 1981 e per la sua realizzazione vengono impiegati ventisette chilometri di nastro celeste. Ancora oggi viene ricordata come una delle maggiori espressioni di arte sociale o arte relazionale, menzionata dalla critica artistica internazionale.

La dimensione sociale della letteratura

Dopo il racconto, a Torino, i partecipanti tengono ancora tra le mani il nastro, ora conoscendo l’origine del gesto artistico di cui sono partecipi. 

Legarsi al fuoco – registrazione integrale dell’evento con Martino Gozzi

Sulla possibilità di portare questo potere terapeutico al sociale, la risposta arriva ancora dal Libro della pioggia.

Io so benissimo quali sono le cose che contano, in questo mondo. Tutti noi lo sappiamo. Non avevamo bisogno di un tumore per scoprire quale cosa immensa e meravigliosa sia la vita. E allora perché, mi chiedo? Perché tra tutti gli uomini sulla terra, uomini che non hanno alcun rispetto per la vita e non si chiedono mai nulla, uomini meschini, che sono immuni alla gratitudine o allo stupore… perché è successo proprio a me?
Parla adagio Michele, con un lieve affanno.
Il punto è che non è successo a me. Succede a tutti, continuamente, ogni giorno, e succederà ancora. È così e basta.
(…)
Parlare di scrittura adesso può sembrare futile, dico, cercando di incrociare lo sguardo di tutti, uno a uno. Però è vero che alle volte nelle storie è possibile trovare un senso – intravedere una luce, qualcosa. Proprio ciò che ci risulta tanto difficile nella nostra routine quotidiana. E questo vale per le storie che leggiamo così come quelle che scriviamo, dico, o tentiamo di scrivere. A patto che siamo disposti a perderci.

Martino Gozzi, Il libro della pioggia

Tenere vivo il fuoco

Hélène Carlotta Lupatini spiega la scelta del colore rosso. Il tema di Hypercritic Burning Festival è la fiamma; l’ispirazione Cormac McCarthy e il suo invito a “tenere un fuoco sempre acceso, per quanto piccolo, per quanto nascosto”.

Legarsi alla montagna è uno dei maggiori esempi di come l’arte, la cultura e la bellezza possano avere un impatto sociale – conclude Lupatini – Se oggi è difficile credere che qualcosa di tanto ‘leggero ed effimero’ possa avere questo potere è soltanto perché è stato svuotato di tutto il suo valore”.

Il filo rosso viene tagliato in tanti pezzi quanti i partecipanti. Ognuno di loro lo porta con sé a testimonianza del legame con la fiamma. Perché rimanga acceso – per quanto piccolo e per quanto nascosto – il fuoco della bellezza, dell’arte e della cultura; perché sia possibile legarsi al fuoco.

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