Immaginare futuri è stato l’obiettivo della prima edizione di OndeVisioni. Per raggiungerlo, o perlomeno avvicinarsi, oltre alle esperienze in realtà virtuale (Mono e VR Free) e i videogame al mattino, i pomeriggi della rassegna sono stati caratterizzati da forum e proiezioni capaci di declinare le tematiche in numerose sfaccettature, sollevando domande e possibili risposte, individuando metamorfosi attuali e ipotizzando quelle future.
Dopo il primo forum, intitolato L’immagine a venire, che ha approfondito temi legati alla transmedialità e metaverso e seguito dalle proiezioni di Gravity e Freaks Out, il giorno seguente è stata la volta del panel Black Mirror/White Mirror, poi anche definito broken Mirror. Con Stefano Balassone, Daniela Minuti, Aldo Schiavone e Giorgia Serughetti, il pubblico si è addentrato in temi come l’intelligenza artificiale e il caso LaMda, il potere dei social media e altre tecnologie, il futuro della politica e del rapporto Umanità-Natura e la ricerca della verità.
Nell’ultimo pomeriggio di rassegna, Cristina Battocletti, Giuseppe Sansonna, Raffaele Alberto Ventura, partendo dal topic Il desiderio è futuro, si sono interrogati sull’immaginazione come elemento essenziale per pensare il futuro, sul ruolo del cinema nel tenere vivo un immaginario e la sua capacità di trasmettere il passato, anche cambiandone la percezione.
Strettamente legati alle tematiche affrontate nei forum, le proiezioni hanno continuano a stimolare le riflessioni e le domande attraverso quattro titoli: Blade Runner e Crimes of the Future il sabato e Metropolis e Titane la domenica, a conclusione della rassegna. Grazie a queste proposte, il pubblico ha potuto realizzare un percorso tra la fusione di generi, fantascienza, dramma e horror.
Molti sono i punti di contatto tra queste opere fra loro più o meno lontane nel tempo: si parte dal 1927 con Metropolis, fino a arrivare all’opera di Cronenberg, protagonista del Festival di Cannes 2022. Questi futuri mostrano metamorfosi di corpi che diventano macchine, o si trasformano per sopravvivere nel mondo che hanno creato. Inesorabilmente, l’Umano si dimostra antagonista e tiranno, in un clima di violenza e sottomissione.
Blade Runner vs Metropolis | Il rapporto umano-macchina e le lotte sociali
Uno dei film proposti, oltre a essere una pietra miliare del cinema, rappresenta anche uno degli esempi più efficaci di transmedialità, concetto approfondito da Riccardo Milanesi nel primo panel di OndeVisioni.
Tratto dal romanzo di Philip K. Dick Il cacciatore di androidi (in originale Do Androids Dream of Electric Sheep?), con la regia di Ridley Scott e le interpretazioni iconiche di Harrison Ford e Rutger Hauer, Blade Runner (1982) narra un futuro in cui la Terra è diventata un luogo inospitale alla vita. Le città sono agglomerati di edifici avvolti da nebbie inquinate e nelle strade illuminate da neon freddi si riversano piogge e tutti gli abitanti, che non sono riusciti a fuggire nelle colonie extramondo.
In questo scenario distopico, l’agente Rick Deckard è costretto dai suoi ex superiori a ritornare in servizio per dare la caccia a sei replicanti, androidi perfetti dalle elevate capacità intellettive ed emotive, ribellati al sistema che li vuole tenere soggiogati come oggetti.
La tematica del potere si ritrova anche in Metropolis, che mette in scena la dinamica servo-padrone mostrando una società divisa verticalmente in classi: i poveri in basso e i ricchi in alto, schema poi ripreso da Bong Joon-ho in Parasite novantadue anni dopo. La città di Metropolis è tanto mastodontica e caotica in superficie quanto lo è nel suo sottosuolo. Sobillati dall’androide inviato dall’imprenditore-tiranno di Metropolis, gli operai distruggono le macchine, bloccando la città di sopra e condannando anche quella di sotto.
In entrambi i titoli, la ribellione per la ricerca di una condizione migliore è vista come un atto di hybris che deve essere punito con violenza, manipolazioni e inculcando il sospetto. Il finale di Metropolis pensato dalla sceneggiatrice tedesca Thea von Harbou è positivo e veicola un messaggio di armonia e pace, mantenendo ben solida la divisione tra le classi: seppur con l’aiuto del cuore la testa rimane la testa e le mani restano mani. Al contrario, al termine di Blade Runner, il pubblico viene lasciato nel dubbio sul futuro e la natura dell’agente Deckard e non può che interrogarsi sul significato di umanità.
Crimes of the Future vs Titane | Tante sfaccettature di body horror
La Palma d’Oro 2021 di Julia Ducournau e il film di David Cronenberg presentato al Festival di Cannes l’anno successivo hanno un protagonista comune: il corpo.
Il genere che accomuna le due pellicole è l’horror, più precisamente body horror: sia l’autore canadese sia la regista francese sono soliti a questo sottogenere, ma hanno la capacità di affrontarlo con stili molto lontani, se non diametralmente opposti.
Caratterizzato da una forte critica sociale, il ritorno alla regia di Cronenberg, Crimes of the Future racconta una storia ambientata in un futuro non meglio precisato, in cui i corpi sono al centro di tutto: vengono aperti, ispezionati, feriti e mutilati, come tele, sono tele incisi durante performance al fine di incantare e eccitare il pubblico, che non può provare più dolore. I corpi sono anche fonte di mistero e chiave per comprendere il futuro. Lo stile è pulito, il ritmo è lento, soprattutto nella prima parte, le tematiche sono grandi e al contempo semplici e il pubblico si ritrova coinvolto pur mantenendo un certo distacco.
Titane si presenta come l’esatto contrario. La storia raccontata da Ducournau è sporca, difficile, veloce e incentrata sulle dinamiche di due personaggi. In Titane i corpi vengono deformati, colpiti e torturati, come se fossero oggetti distaccati dai personaggi. Alexia ha una placca di titanio nella testa, impiantata dopo un incidente stradale quando era piccola, ed è attratta dalle automobili con cui ha dei rapporti sessuali. La differenza uomo-macchina in Alexia è quasi nulla, tanto che la ragazza non ha la capacità di instaurare relazioni con gli esseri umani. La negazione e l’accettazione di sé e la dicotomia umano/disumano sono due dei temi presenti e approfonditi anche attraverso i rapporti tossici alimentati dai protagonisti.
Mentre per guardare Crimes of the Future è richiesta pazienza da parte del pubblico, per Titane è più necessario coraggio e anche una certa volontà di sospendere il pensiero logico, senza dimenticare che entrambi sono body horror.
Immersività e immaginazione, alla ricerca del dionisiaco
Fantascienza e horror hanno la capacità di portare chi guarda su altre dimensioni, inscenando tabù e atrocità, echi della tragedia greca, e sollevando dubbi non troppo lontani dalla realtà.
Sul palco di OndeVisioni, Cristina Battocletti afferma che nelle pellicole presenti alla 79° Mostra del cinema vi sia scarsa immaginazione e pochi desideri. Senza desideri non c’è futuro e – precisa Raffaele Alberto Ventura – non bisogna dimenticare la funzione catartica e consolatoria del cinema e dell’Arte.
Proprio per questo motivo, il grande periodo d’oro del cinema è stato negli anni ’20-’30, tempi in cui i film Pre-Code rappresentavano una via di fuga a basso costo ed effimera dai problemi quotidiani e dalla crisi: pellicole come Il Ladro di Bagdad o King of Jazz erano realizzate con produzioni grandiose e scenografie mastodontiche e mostravano mondi esotici, magici e divertenti in cui il pubblico poteva perdersi e sognare.
Come testimoniato dalla diffusione della realtà virtuale (VR), nel cinema è ancora forte questo bisogno di escapismo e immersione da parte del pubblico, forse ormai saturo di film manieristi di autori che, a favore del loro ego, trascurano trama, mondo e personaggi. Le opere dovrebbero sempre creare spazio al pubblico per permettergli di immedesimarsi in libertà. Con l’arrivo delle piattaforme e nuove risorse, come affermato da Alberto Barbera in un’intervista, la produzione cinematografica, in particolare quella italiana, aumenta, ma non la sua qualità. Per questo motivo il pubblico non rischia tanto di trovare sullo schermo storie dotate di qualche idea seppur con errori e debolezze, ma di imbattersi in opere insignificanti la cui visione fa sorgere solo il pensiero di stare perdendo tempo.
Sul perché le storie schermo siano incapaci di far immaginare chi guarda si potrebbe trovare una possibile motivazione se si analizza il disequilibrio che attualmente c’è tra apollineo e dionisiaco nel cinema.
Il cinema apollineo risulta quello più diffuso, è il più sicuro, facile, cristallino e il pericolo maggiore è dato dal rischio di risultare banali e noiosi: personaggi stereotipati, trame rigide, dinamiche note e toni anonimi. Per ritrovare un cinema capace di far sognare e immaginare, il dionisiaco potrebbe essere una soluzione : film fisici e viscerali, spiazzanti, che innescano una scintilla di elettricità nel corpo e solo alla fine arrivano alla mente. A patto di essere disposti ad abbassare le barriere e mettere in pausa la propria dimensione apollinea e razionale.
Immaginare, desiderare e mutare
Oltre al cinema, per “immaginare futuri” rimane fondamentale l’astrazione attraverso il pensiero filosofico, a patto che non risulti scollato dalla realtà. Ricercando una dimensione concreta, è necessario rimanere in ascolto del mondo, dei suoi flussi e tendenze mantenendo un pensiero critico, fuggendo da idee montone e comode e ricercando domande e cambi di punti di vista. Ad esempio, invece di ribadire la concezione dei social media come antagonista principe e fonte di ogni male e desiderio velleitario, risulta più efficace porsi altri interrogativi, come quelli sollevati da Daniela Minuti in chiusura del secondo panel: come e quanto velocemente la politica reagisce ai cambiamenti e riesce a stare al passo con le novità tecnologiche? Cosa si può fare a lungo termine e non solo rispetto al contingente, al fine di limitare ogni rischio per gli utenti?
OndeVisioni ha dimostrato di avere la forza di innescare queste riflessioni e aiutare a entrare in contatto con limiti e nuovi mondi, attraverso il confronto e il cinema di oggi e di ieri. A riguardo, Daniele De Cicco, produttore cinematografico, docente della Scuola Holden e Maestro di Hypercritic, ha affermato a conclusione conclusione della rassegna da lui curata:
È stata una prima edizione sperimentale e per certi versi pionieristica, da cui sono scaturite idee e suggestioni per il futuro: il confronto fra punti di vista eterogenei si è dimostrato molto fertile, così come la proposta di forme diverse (film, VR, videogiochi). L’auspicio è di riuscire a ripetere l’esperienza per interrogarsi sulle prospettive del cinema e degli audiovisivi senza barriere fra le discipline, arrivando a costituire un appuntamento annuale di verifica e di pensieri nuovi: di visioni, cullate dalle onde.
Grazie Procida, ci vediamo a OndeVisioni 2023.