Durante una passeggiata su un viottolo della collina di Ekeberg, al tramonto, con degli amici, mentre il cielo si tingeva di rosso sangue, all’improvviso un uomo — e solo lui — percepì in un urlo acuto e infinito un suono che sembrava provenire dalla natura stessa. Da quell’esperienza nacque uno dei quadri più celebri dell’arte mondiale. Quell’uomo era il pittore norvegese Edward Munch, e il quadro in questione è L’urlo, emblema universale dell’angoscia umana, uno dei dipinti più costosi al mondo, venduto all’asta per la cifra record di 119,9 milioni di sterline, nonché protagonista di alcuni dei furti più rocamboleschi del ventunesimo secolo.
In occasione dell’80° anniversario della morte di Munch, e a 40 anni dall’ultima mostra delle sue opere a Milano, i lavori dell’artista tornano in città con una vasta esposizione a Palazzo Reale, organizzata grazie alla collaborazione con Arthemisia e il Munchmuseet di Oslo. Si tratta di 100 opere, tra dipinti, disegni e stampe, che invitano il pubblico a riscoprire e a esplorare l’intera produzione artistica di Munch, l’artista del XIX secolo che più di tutti ha saputo interpretare le inquietudini esistenziali dell’essere umano.
La mostra, che si estende in un complesso di sale sapientemente illuminate, organizza le opere di Edvard Munch attorno a nuclei tematici a lui particolarmente cari: la malattia mentale e le tragedie familiari, i fantasmi, l’amore e l’erotismo, i nudi maschili e gli autoritratti, e infine il rapporto con l’Italia.
Malinconia e circoli Bohémien: i primi anni della vita di Munch
La prima sezione, intitolata Allenare l’occhio, comprende opere come Malinconia (1900-1901) e Il circolo Bohémien di Kristiania II (1895). Entrambe, come tutte le opere di Munch, si ispirano a eventi biografici, sotto l’influenza dell’amico e scrittore Hans Jæger, il cui motto era: “Scrivi la tua vita!”.
Malinconia ritrae la sorella Laura, che il pittore visitò nell’ospedale psichiatrico di Kristiania, dove era stata ricoverata per isteria e disturbi mentali. I suoi grandi occhi neri, vuoti e spenti, esprimono tutto il trauma interiore della protagonista. Un tavolo che richiama la forma di un cervello simboleggia il legame con la malattia mentale.
Il circolo Bohémien, invece, ritrae un gruppo di artisti e scrittori che Munch frequentava negli anni ’80. Il gruppo si opponeva ai costumi borghesi, promuovendo l’amore libero e il consumo eccessivo di alcol e droghe. Tra i protagonisti del quadro si riconoscono lo stesso Munch, Jørgen Engelhart e il drammaturgo Gunnar Heiberg.
Fantasmi e marionette
La sezione successiva, Fantasmi, presenta alcune delle opere più celebri dell’artista, tra cui una nuova versione di Malinconia (1891), Visione (1892) e il Bozzetto per la scenografia di ‘Fantasmi’ (1906), realizzato per il dramma Spettri di Henrik Ibsen, rappresentato al teatro di Berlino. Come Ibsen, Munch era affascinato dalla vita interiore repressa dei soggetti dei suoi quadri. Nel Bozzetto intrappola i personaggi in un ambiente claustrofobico, con il tetto ribassato e il pavimento inclinato, come se questi fossero delle marionette ibseniane in una casa di bambole.
In Malinconia, Munch reinterpreta (e lo farà più volte in futuro) il tema con una nuova figura: un uomo. La sua postura è caratteristica del sentimento della malinconia. Quest’ultima diventa una vera e propria patologia psichica, una condizione che viene esplorata a fondo in molte delle sue opere. Visione è una delle opere più inquietanti e complesse di Munch. Una figura – tra una ninfa caduta in disgrazia e uno zombie – emerge da quella che sembra una distesa d’acqua o forse un artefatto dell’inconscio. Viene evocato il tema degli occhi chiusi, popolare nel Simbolismo europeo di fine XIX secolo, che suggerisce un evasione dal mondo fisico e un rifugio nella visione interiore.
Il Fregio della vita di Munch
La sezione successiva – forse la più ammaliante – esplora la passione e l’erotismo, temi centrali nella vita e nell’opera di Munch, con particolare riferimento alla sua tormentata relazione con Mathilde Tulla Larsen, che finì tragicamente con un colpo di rivoltella. Qui si trovano opere come Vampiro (1895), Madonna (1895-1902), La morte di Marat (1907) e Autoritratto su sfondo verde. In questa sezione emerge la visione di Munch della donna: talvolta come innocente e simile a una Madonna, altre volte come una figura mostruosa e pericolosa. Così la donna si trasforma in un’arpia nell’omonima opera del 1863-1944, che con i suoi artigli sguainati plana sul cadavere del compagno, o in un vampiro che beve il sangue dell’amante.
La maggior parte dei quadri appartenenti a questa sezione vennero inglobati, all’inizio dei primi anni Novanta, nel ciclo unitario intitolato Il Fregio della vita. Il Vampiro, inizialmente intitolato Amore e dolore, venne poi rinominato dal critico Stanisław Przybyszewski che, invece di vedere un semplice bacio, enfatizzò la sottomissione dell’uomo alla figura vampiresca della donna.
Tutte le donne di Munch
Le chiome rosse (e meno frequentemente nere) delle donne dipinte da Munch sono simboli potenti di vitalità e passione, ma anche di pericolo e sofferenza. Del resto, il colore dei capelli ha sempre avuto una forte valenza simbolica, basti pensare ancora oggi ai capelli blu della ribelle Coraline nel film di animazione di Henry Selick o ancora meglio alla simbologia del colore in Eternal Sunshine of the Spotless Mind, in cui ogni tinta rappresenta una fase della vita della protagonista Clementine e della sua relazione con Joel. Nell’opera di Munch i capelli simboleggiano il potere erotico e sono rappresentati come una vera e propria arma a doppio taglio: da un lato cullano il volto dell’amato (Vampiro) ma dall’altro lo avvolgono in una morsa soffocante (Testa d’uomo tra capelli di donna, 1896).
Madonna, uno dei capolavori assoluti di Munch di cui esistono cinque versioni, raffigura una mezzobusto di una donna nuda colta in un momento di estasi erotica, con un’espressione che ricorda l’Estasi di Lorenzo Bernini. I capelli corvini sono sparsi lungo il corpo che si contorce, un’aureola profana di colore rosso rappresenta la passione amorosa e il sangue. Il dipinto si basa sulla bicromia tra rosso e nero, che simboleggiano rispettivamente amore e morte come nell’omonimo classico di Stendhal.
Tulla Larsen e le sezioni coclusive della mostra
Un’intera sala è dedicata alla relazione con Tulla Larsen. Nella stanza spicca La morte di Marat, un’opera che rielabora il celebre dipinto di Jacques-Louis David, in cui Munch si paragona al rivoluzionario ucciso da Carlotta Corday. La figura di Tulla viene rappresentata come l’assassina di Munch, simbolo del dolore e della violenza che caratterizzano la sua storia d’amore.
Le sezioni successive presentano numerosi nudi maschili e autoritratti, come l’affascinante Autoritratto tra il letto e l’orologio (1940), dove l’artista si ritrae ormai anziano, circondato da un orologio e un letto, simboli rispettivamente di Thanatos (la morte) ed Eros (la vita e il desiderio).
Il percorso espositivo si conclude con una sezione dedicata al rapporto di Munch con l’Italia, paese che visitò più volte nel corso della sua vita e dove trasse ispirazione dalle opere dei grandi maestri italiani come Raffaello e Michelangelo.
Munch, il pittore delle emozioni
La mostra su Edward Munch offre un’ampia panoramica delle principali tematiche presenti nella sua opera e nella sua vita: malattia, lutto, amore, passione, ansia, gelosia, tradimento e molto altro. Il percorso ben studiato permette di esplorare le varie fasi della vita dell’artista, dalla sua turbolenta giovinezza e frequentazione dei circoli bohémien, fino al ritiro nella sua villa di Ekely, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita.
Munch, con il suo approccio eversivo e “maledetto”, è riuscito come pochi a sondare l’animo umano, facendo emergere i sentimenti più profondi e universali: l’alienazione, l’angoscia, l’amore e la passione. Il pittore rende lo spettatore partecipe di tali sentimenti rompendo la quarta parete con gli sguardi diretti dei suoi personaggi, la violenza dei colori (sempre simbolici) e l’incisività del segno. L’esposizione al Palazzo Reale di Milano, che durerà fino al 26 gennaio 2025, rappresenta un’occasione unica per entrare nell’officina creativa del “pittore dei sentimenti” per eccellenza.