Anche l’idea più creativa ha bisogno di gesti per diventare reale. L’atto di scrivere è uno di questi. Prima si ha un’intuizione, un’urgenza o una necessità, poi si hanno romanzi, racconti, saggi, e tutte le infinite tipologie di forme artistiche che prevedono l’utilizzo della parola scritta. Così nasce Stesure, la nuova collana edita da Franco Cesati e curata dall’autrice e ricercatrice Alice Avallone e dallo scrittore e story editor Leonardo Staglianò. Stesure si ramifica attorno all’enigmatico atto dello scrivere che, come dicono i curatori, affascina l’umanità da tempi immemorabili.
Dalla narrativa al mondo digitale, dal giornalismo al public speaking, la collana vuole essere uno strumento per chi legge, e scrive, a comprendere, partendo dal processo creativo, le varie declinazioni della narrazione.
In occasione del 36mo Salone del Libro di Torino, Stesure incontra per la prima volta il pubblico. Si presenta con i primi due titoli: L’arte di raccontare storie di Alessandro Avataneo e Vivere in tre atti di Leonardo Staglianò.
L’arte di raccontare storie di Alessandro Avataneo
Se la collana si pone come obiettivo l’esplorazione delle parole, nel suo libro Avataneo decide di condividere con il pubblico un’equazione: l’equazione di tutte le storie. Cercare criteri universali e correlazioni può sembrare una provocazione: l’autore invece mette in relazione gli elementi presenti nelle narrazioni — dopo averli identificati in ogni forma — in un esperimento che, quasi con spirito scientifico, mette continuamente alla prova la sua equazione.
Attorno a questa ricerca si sviluppa un saggio-memoir poliedrico, che accompagna lettrici e lettori a conoscere diversi mondi (pittura, letteratura, cinema, arti visive e performative), analizzando classici, opere di nicchia e franchise milionari.
Il risultato è una mappa capace di guidare le persone a conoscere i meccanismi profondi del raccontare, che, come scrive Avataneo, significa riappropriarsi dell’unica avventura di cui si è protagonisti: la propria vita.
Quando prendiamo un libro dallo scaffale o premiamo il tasto play, quando il sipario si apre o nel cinema cala il buio, ecco, quello è il momento in cui sfreghiamo la lampada e liberiamo il genio della storia.
Da “L’arte di raccontare storie” di Alessandro Avataneo
Vivere in tre atti di Leonardo Staglianò
Come Avataneo, anche Staglianò vede nei numeri la sua tesi. Per la precisione un solo numero: il tre. Per capirne il significato, l’autore porta lettrici e lettori indietro nel tempo, nell’antica Grecia del IV secolo a.C., a conoscere Aristotele. Il filosofo, infatti, scopre che Omero e i grandi tragici raccontano le loro storie suddividendole in tre parti. Aristotele definisce questa tecnica narrativa drammaturgia, che ancora oggi dimostra la propria validità nonostante il tempo passato e il nuovo appellativo di struttura in tre atti.
Oltre a creare un ponte fra i narratori di ieri e di oggi, afferma Staglianò, questo libro si pone una domanda esistenziale: e se fosse la vita a essere in tre atti? Un, due, tre – nelle pagine del saggio-memoir, i lettori si trovano, come un metronomo, a scandire il tempo terziario delle strane coppie analizzate: l’Edipo re e I Soprano, Ritorno al futuro e Filottete, l’Iliade e Stranger Things. Il rischio, o la naturale curiosità, è di provare anche con la propria storia.
Non si può slegare l’arte dalla vita: ognuna delle due ha bisogno dell’altra per essere compresa e trovare la propria forma. Aristotele era solo una parte della storia; l’altra, alla fine l’ho realizzato, ero io.
Da “Vivere in tre atti” di Leonardo Staglianò
La vita offre tanti incidenti scatenanti, ma quando si arriva al dunque le persone tendono a essere conservatrici. Ma perché è così difficile cambiare? Questa la riflessione che al termine della presentazione al Salone del Libro 2024 Avataneo condivide con Staglianò: “Difficile perché siamo abituati ad avere punti di riferimento, che ci confortano, cambiare è un rischio. Quindi come fare? Si compra un romanzo, si va al cinema per vedere sullo schermo un personaggio che fa quel lavoro al posto nostro: Aristotele la chiama catarsi“.