
Nancy riusciva a sottomettere a terra un ragazzone di oltre un metro e novanta, molto grosso. Lo atterrava e domava come i cowboy texani fanno con le bestie. Negli anni 50 la vita a Houston era anche questa. Nel difficile quartiere di Fifth Ward i padroni erano spacciatori e assassini. In strada tra i ragazzi per resistere dovevi picchiare più del tuo avversario. Ma una madre che per suo figlio vuole altro – una vita migliore, un’educazione diversa – la forza di andare allo scontro con un gigante la trova. Una donna sola che ha lavorato tutta la vita per sfamare George e i suoi sei fratelli.
Così George Foreman molti anni più tardi, quando ormai la boxe lo aveva consacrato come leggenda assoluta, sul ring era davvero tutto finito, nella sua biografia parla della madre. Del coraggio di quella donna. Delle cinghiate che gli dava nel tentativo di raddrizzare il figlio.
La rabbia di George Foreman
Foreman è nato nel 1949 a Marshall, città del Texas, nella provincia di Houston. Nel ghetto di Fifth Ward George era noto come Boody Fifth. Quasi sempre ubriaco, girava col coltello in tasca, “ogni occasione era buona per tagliare qualcuno. Giusto il gusto di farlo“, racconta nella sua biografia. Un gigante, stazza grossa, senza pietà e spregevole. Infanzia difficile. Il padre, un veterano di guerra, lascia la madre Nancy appena dopo la nascita di George. Dopo aver cresciuto da sola il figlio problematico per qualche anno, la donna si sposa con JD Foreman.
George per molti anni è stato convinto che quello fosse il vero padre. Poi la scoperta della verità. In mezzo liti famigliari, i guai con la giustizia – risse e violenza erano il pane quotidiano dell’ex campione dei pesi massimi. È morto venerdì 21 marzo 2025, aveva 76 anni. Con lui finisce la dinastia dei tre Re della Boxe anni 70: Foreman-Alì-Frazier.
Foreman e la Boxe
All’età di dieci anni George Foreman abbandona la scuola. Vaga per i bar del ghetto a bere, ruba nei negozi, fa a pugni con gli altri neri del quartiere. A 16 anni entra nel Job Corps, agenzia del Governo americano per lavori socialmente utili. Un tentativo di ripulire quell’immagine da violento. Va molto meglio di quanto si potesse immaginare. La svolta per George arriva con l’incontro con Nick Broadus, un modesto allenatore di boxe che nel giovane afroamericano di Houston vede doti fisiche importanti. Broadus insegna a Foreman a boxare e lo introduce in un regime di allenamenti duri. Nel 1967 il primo match da dilettante: l’avversario finisce ko al primo round.
Nella vita del ragazzone violento qualcosa cambiato. Ma solo qualcosa, sia ben chiaro. Alla Job Corps Foreman completa gli studi. Diventa insegnante di educazione fisica e in parallelo continua la sua carriera da pugile. Nel 1968 vince il campionato nazionale amatoriale dei pesi massimi. Qualcuno intuisce che negli Stati Uniti è nata una nuova stella.
Il mito Sonny Liston e la medaglia d’Oro olimpica
Negli anni da cattivo a Fifth Ward – e anche successivamente – l’icona ispiratrice di Foreman è il pugile di Las Vegas Sonny Liston. Una montagna nera di muscoli, lo chiamavano Il Grande Orso. Sul ring l’ex campione dei pesi massimi non ha pietà degli avversari e nella vita privata è un personaggio controverso. Il 30 dicembre 2023 lo trovano senza vita sul pavimento della sua villa nel Nevada. È steso a terra, probabilmente stroncato da un’overdose. Si narra di incontri truccati e percentuali illecite derivanti da incassi di altri match nella boxe. Insomma molte ombre e poche luci. Ma Foreman è follemente attratto da Liston, al quale si ispira.
Ma c’è un altro George che stava nascendo. Dopo il successo nel 68 al campionato nazionale amatoriale dei pesi massimi l’ex campione è selezionato nella nazionale americana per i Giochi olimpici a Città del Messico. Neanche a dirlo, Foreman vince la medaglia d’Oro. L’anno dopo diventa professionista.
Sul ring il gesto che gli vale una polemica aspra. George sventolava la bandiera americana per amore verso il suo Paese. Una parte della popolazione afroamericana invece la vede come un segno di non rispetto per le battaglie dei neri contro il razzismo. Parte della critica cavalca l’onda. Il gesto a distanza di pochi giorni dal pugno chiuso con il guanto nero alzato dagli atleti Tommie Smith e John Carlos durante la premiazione dei vincitori dei 200 metri. Un gesto che ha fatto la storia negli Usa. I due sono simpatizzanti delle Pantere Nere, organizzazione afroamericana che lottava contro il razzismo. Ma Foreman poi zittisce tutti raccontando le sue radici nel ghetto.
Foreman-Fraizer, 1973
Dal 1969 al 1973 la carriera da professionista di Foreman segna solo vittorie devastanti. Batte 36 avversari come pupazzi. I match durano pochi minuti. George sul ring è inarrestabile, i suoi pugni fanno molo male. La grande occasione arriva il 22 gennaio 1973. George Foreman contro Joe Frazier, il campione del mondo dei pesi massimi in carica. Fraizer è cinque anni più grande di Foreman. Imbattuto. Ha conservato il titolo perché l’altra leggenda Muhammad Alì è stato privato della cintura per motivi politici. Si era rifiutato di arruolarsi per il Vietnam. Fraizer e Alì erano già stati sul ring per due volte. Joe aveva difeso il titolo per poi perderlo nel terzo atto della trilogia, nel 1975, con Alì campione per decisione unanime.

In mezzo, nel 1973, c’è però il super incontro Foreman-Frazier. Il gigante di Houston si presenta con uno sguardo terrificante. Un fisico mostruoso, sul ring è feroce. Scontroso e poco disponibile. L’opinione pubblica gli affibbia l’etichetta del Cattivo della boxe mondiale. Di fatto è così: sale sul ring e picchia con una forza disumana. Ne sa qualcosa Frazier. George manda al tappeto Joe per ben sei volte in 275 secondi.
Solo nella prima ripresa i colpi di Foreman stendono Frazier tre volte. Finisce altre tre volte al tappeto nella seconda ripresa. Poco dopo l’arbitro ferma l’incontro, evitando il peggio, e George conquista la cintura mondiale dei pesi massimi. È rimasta celebre la frase di Joe Fraizer quando una decina di anni dopo quell’incontro disse: “Foreman fece di me uno yo-yo”.
Foreman-Alì: cos’è la “Rumble in the Jungle”
Foreman difende il titolo prima contro José Roman e poi contro Ken Norton: entrambi i pugili non resistono ai colpi del campione dei pesi massimi. Così si arriva forse alla madre di tutte le sfide nella storia della boxe. 30 ottobre 1974, a Kinshasa, nello Zaire, va in scena l’incontro del secolo. Per tutti è la Rumble in the Jungle, La Rissa nella Giungla.
George Foreman contro Muhammad Alì. Le parole non bastano a descrivere quella lotta sul ring. Molto di più di un match epico, è una lotta tra neri, il confronto di generazioni vicine, di supremazia della razza. È stato tutto oltre. A organizzare quel match fu un certo giovane Don King, il manager e organizzatore di incontri più spietato e discusso di sempre. Al tempo, in Zaire, c’è un leader politico che cerca visibilità e consensi. Mobutu Sese Seko non si preoccupa delle carestie, della popolazione in maggioranza analfabeta. In mezzo a tanta povertà e disagio sociale il dittatore mette in palio due borse da 5 milioni di dollari per i pugili.
La prima volta in Africa; spettatori, pugili e arbitro nero: un evento senza precedenti. Alì era tornato sul ring dopo le polemiche per via del Vietnam; aveva 32 anni. Foreman, nel pieno del suo vigore: aveva 25 anni, ancora un campione imbattuto. Sembrava un match dal verdetto già scritto. Davanti ai 100 mila di Kinshasa si è fatta la storia di questo sport. Il pubblico gridava “uccidilo, uccidilo”. Alì e Foreman erano pronti a morire pur di vincere quell’incontro.
Alì attacca, Foreman risponde con colpi tremendi: i due non mollano di un centimetro. George, schernito da Muhammad, continua a colpire con violenza e dispendio di energie. Alì capisce che la tattica sta funzionando. All’ottava ripresa, la svolta inattesa, anche se era chiaro ormai che Alì aveva il match in mano.
Foreman continua a colpire; Ali si copre il volto. All’improvviso, nonostante fosse stretto all’angolo, si libera con una serie di colpi al volto di Foreman che va al tappeto. È la prima volta in assoluto da quando ha iniziato a boxare. Il mito di King George non c’era più. Alì è il nuovo campione del mondo dei massimi.
Foreman incontra Dio
Foreman non si è mai dato pace per quella sconfitta. Insegue più volte Alì per una rivincita che il rivale non gli concsde mai. Dopo molti anni, ammette che quella notte Muhammad è stato il migliore. Il declino di George coincide con la depressione: un crollo totale del gigante. Nel 1977 dice addio alla boxe. Aveva appena perso ai punti contro Jimmy Young. Nello spogliatoio accusa un attacco di ipotermia, pensava fosse la fine. Racconta di aver visto la morte, ma di aver sentito la voce di Dio che lo chiamava per tornare nel regno dei vivi, perché la missione non era ancora finita. George supera le difficoltà e trova nella fede una nuova ispirazione.
È un altro George Foreman. Del ‘cattivo’ non c’è più traccia. Vende le ville, la Rolls, apre una casa per occuparsi dei giovani. Succede l’inimmaginabile. “Quando muori e hai la possibilità di vivere di nuovo devi solo essere te stesso”, spiega in un’intervista. Dell’animo da campione era rimasto qualcosa. Dopo dieci anni senza il sudore degli allenamenti, il ring e avversari, Foreman decide di tornare sul ring per provare a tornare campione. Sfida la famiglia e la critica: è troppo grasso e vecchio per tutti, ma non per lui. Il rientro nel 1987, a 38 anni suonati. Prima si confronta in alcuni match facili. Poi arriva la grande occasione.
La rinascita a 45 anni: record imbattuto
Nel 1990 un incontro serio con Cooney, sconfitto in due riprese, fa pensare che George è nuovamente pronto per il titolo. Nel 1991, sfida l’allora campione del mondo Evander Holyfield ma è sconfitto. Poi c’è il match per il titolo WBO con Tommy Morrison. Anche questa volta arriva una sconfitta. I segnali del destino sembrano evidenti. Bisogna arrendersi. Se però sei George Foreman, la resa non esiste. Ci sono altri due anni di buio. Il detentore della corona WBA e IBF è l’americano Michael Moore. Al tempo Mike Tyson è in prigione e Lennox Lewis prova a riproposi.
Nel 1994 l’ultimo treno. La sfida per il titolo mondiale a 45 anni, contro Moore. George impiega dieci riprese per abbattere l’avversario e riprendersi il titolo iridato. Il gigante di Houston scrive una nuova pagina di storia del pugilato mondiale. George Foreman all’età di 45 anni è il pugile più anziano di sempre ad aver vinto il titolo di campione dei pesi massimi. Record imbattuto ancora oggi.