Dall’edizione 2022 della Mostra del Cinema di Venezia alla rassegna OndeVisioni, Chiara Troisi, 28 anni, presenta il suo primo corto in Realtà Virtuale, Mono, nella suggestiva cornice dell’ex Convento di Santa Margherita Nuova, a picco sul mare di Procida.
Bianco, nero e grigio. Un’auto entra in un garage. Da questa scende una donna, Una: i suoi respiri sono stanchi e con la sua camminata strascicata si avvicina a una porta, la apre, entra e così, con lei, gli spettatori si immergono nel mondo di Mono.
Sul divano, davanti alla TV, la protagonista sta per consumare il vassoio di cibo surgelato che gira nel microonde, mentre la stanza claustrofobica e l’incessante squillo e illuminazione del cellulare sembrano soffocarla sempre di più. Ad un tratto la ragazza esplode e si ritrova catapultata in altre dimensioni, la prima sospesa e schiacciata come da un enorme schermo, la seconda colorata, in cui gli spettatori e la protasonista sono circondati dalla vastità della natura. Immersi in questa luminosa realtà ci si sente piccoli e liberi, guardando una rosa, gli alberi e le gocce di pioggia che cadono mentre il sole sta tramontando.
Come ti sei avvicinata al cinema e qual è stato l’iter che ti ha portato a realizzare Mono?
Ho studiato scenografia cinematografica all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, già con l’intenzione di arrivare alla regia. Dopo, infatti, ho frequentato il college Cinema alla Scuola Holden. Ora lavoro come assistente sui set e parallelamente porto avanti i miei progetti personali, cortometraggi e documentari. Mono è stata la mia prima esperienza con la realtà virtuale. Realizzato grazie alla tenacia della casa di produzione, Epica Film, siamo partiti nel 2019 con la Biennale College, hub per giovani autori per la realizzazione dei loro progetti. Abbiamo partecipato al workshop italiano e quello internazionale, non abbiamo vinto il grant, ma siamo comunque riusciti nella realizzazione. Mono è stato presentato dutante la 79° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Ora proviamo a portarlo e farlo conoscere in più occasioni possibili.
Prima di questa opera hai fatto uscire qualcos’altro?
Ho girato un corto, La Forza, nel 2020 a Torino, con la Torino Factory, ora Piemonte Factory. È la storia di una cartomante che combatte contro una figura misteriosa legata alle carte. Questa è stata la mia prima esperienza da regista professionista.
E poi come ti sei avvicinata alla realtà virtuale?
Abbiamo pensato che fosse il mezzo migliore per raccontare questa storia. Non avevo nessuna esperienza con la VR, ma ci siamo lanciati proprio grazie a La Biennale, abbiamo potuto visionare e studiare tanti progetti, lavorare con professionisti provenienti da tutto il mondo.
Qual è la differenza dietro le quinte VR e film tradizionale?
Principalmente le tecniche, perché il processo combacia abbastanza: la scrittura è comune, la produzione è simile, anche il processo per l’animazione classica e VR più o meno combaciano. La totale immesione ti porta a guardare letteralmente a 360° il mondo che stai costruendo. Un’arma a doppio taglio, ma che ti permette di sfruttare tutto l’ambiente in cui ci si può immergere, questo è grande valore del mezzo VR.
Perché la scelta dell’animazione? Mono è stato un lavoro realizzato in autonomia?
Lavoro anche come illustratrice, infatti, è mie le illustrazioni del concept di Mono. Ma all’opera ha lavorato un team di circa dieci persone: tra produzione, la squadra di animatori, rigger, modellatori 3D e i tecnici coordinati da Maurizio Marseguerra.
Quali sono secondo te i vantaggi e ancora i limiti della VR?
Parlando di potenzialità, la trasposizione totale all’interno del mondo che si vuole creare. Un grande limite è ancora la fruibilità, ma si sta lavorando per poterlo superare presto.
Avendo già fatto vedere l’opera al pubblico di Venezia e anche in altre occasioni, come Ondevisioni, quali sono stati i feeback che ti hanno più colpita o resa orgogliosa di aver realizzato Mono?
Mi ha colpito la totale presa di coscienza del personaggio da parte del pubblico, l’immedesimazione totale e la voglia di aiutare la protagonista. Il fatto di non riuscirci, la fatica e l’impossibilità di interagire e approcciarsi sperimentate sono stati per me un ottimo riscontro, era esattamente quello che volevo ottenere.
Visto che siamo a OndeVisioni, qual è un film che reputi visionario e che ti ha cambiato il modo di vedere il Cinema e non solo?
Come esperienza cinematografica The New World di Terrence Malick e Master & Commander di Peter Weir. Li ho visti nel periodo delle medie: stando in sala mi sono sentita totalmente investita. Sono questi due film che mi hanno fatto dire “Voglio fare questa cosa potente”.