Listening Party | Da Burgess a Kanye West tutto quello che c'è da sapere

Postato il 05 Dicembre, 2024

Una delle dimensioni che la musica chiama in causa è lo spazio: fisiologico, perché la vibrazione possa propagarsi; attore nella maniera in cui lo altera e lo contestualizza. Questo spazio dev’essere vuoto. Ma il vuoto codifica la musica come la contemplazione di una mancanza. Un’assenza temporaneamente occupata dal suono. La musica dà sollievo, una cura dal vuoto ciò che la fa esistere. Il suono rende tangibili le distanze altrimenti obliate che percorre. Le persone cercano sempre un modo per connettersi all’interno di queste latenze. Uno di questi, sono i listening party.

La ricerca della presenza perduta

Era il 2010 quando Tim Burgess dei Charlatans, quasi per caso, inaugurò con il suo listening party quello che sarebbe diventato un fenomeno culturale emblematico. Per celebrare il ventesimo anniversario di Some Friendly, album d’esordio della sua band, Burgess ebbe l’intuizione di invitare i fan ad un ascolto collettivo online. Un gesto spontaneo apparentemente semplice che conteneva, in nuce, il seme di un desiderio. E come ogni desiderio, era mosso da una mancanza, reale o percepita.

Iniziato come un esperimento isolato, si è evoluto nel corso di un decennio, trasformandosi durante la pandemia in un vero evento di massa, con sessioni multiple giornaliere che hanno visto la partecipazione di artisti del calibro di Paul McCartney, Dave Rowntree dei Blur e Alex Kapranos dei Franz Ferdinand. Oggi si è ritornati al fisico, mantenendo questa forma esatta. L’artista è al pari dello spettatore, magari siede tra il pubblico e partecipa all’ascolto.

Anatomia di un rito postmoderno

La formula dei listening party online è di una semplicità disarmante. Un orario prestabilito, un album da ascoltare simultaneamente, e, solitamente, X come agorà virtuale dove condividere pensieri, ricordi e domande in tempo reale. Spesso con la partecipazione degli artisti stessi, che condividono aneddoti, ricordi, dettagli sulla produzione.

Come in un’inversione della società dello spettacolo di Debord, i listening party rappresentano un momento di raccoglimento collettivo codificato nell’epoca dell’attention span ridotta.

Emozioni private: Taylor Swift e le Secret Sessions

Il listening party fisico si è evoluto in una forma peculiare di evento. L’artista è presente ma non si esibisce. Lui ha finito il suo lavoro e lo condivide. Condivide lo spazio di risonanza durante la riproduzione dell’album. È un formato che rovescia le convenzioni del concerto tradizionale: non più performance live, ma ascolto condiviso. Spesso non più palco e platea, ma una disposizione più orizzontale dello spazio. Una presentazione che si presenta come intima, ma che vende la sua esclusività.

Emblematiche e apripista sono le Secret Sessions di Taylor Swift. In questo caso i fan sono invitati a sentire gli album anche con settimane d’anticipo presso la sua casa privata. Gli artisti sanno quanto il pubblico voglia conoscere e vedere cosa c’è oltre l’immagine pubblica, e capitalizzano su questa curiosità. Il voyeurismo non è qui una semplice curiosità passiva. È un coinvolgimento emotivo, una sensazione di privilegio e accesso che molti fan trovano irresistibile, tanto da giustificare un investimento economico significativo.

Festeggiare l’ascolto: Travis Scott e Billie Eilish

Esempi recenti mostrano la varietà di approcci possibili. Ne hanno preso parte artisti come Nick Cave, Manu Chao, i The Cure e i Linking park. Alcuni di questi eventi, sono entrati nella storia dell’industria musicale contemporanea.

In un listening party per l’album Astroworld, Travis Scott ha creato un’esperienza visiva guidata, allestendo una location che ricreava l’atmosfera di un parco divertimenti, tema centrale dell’album. L’evento era più che una semplice riproduzione di musica. Era un’esperienza tematica che evocava le immagini e le emozioni dell’album, rendendo l’interazione tra i fan e la musica ancora più coinvolgente. Presenti, oltre i fan, familiari e amici intimi.

Billie Eilish ha organizzato il primo listening party del suo album Hit Me Hard and Soft a Brooklyn, cercando di creare un’esperienza immersiva e intima. O ancora, per Lemonade, Beyoncé (che aveva realizzato un mediometraggio musicale), ha organizzato un evento a Los Angeles, molto simile a una première cinematografica, accompagnato da una discussione aperta con il pubblico. Anche qui, non ha cantato ma ha condiviso il progetto da un punto di vista narrativo e visivo, permettendo ai fan di comprendere le storie dietro alle canzoni in modo più profondo e personale.

L’assenza presente: Kanye West e i Radiohead

Kanye West ha portato il concetto all’estremo. Durante il listening party di Vultures 1 a Milano, si è presentato completamente coperto, quasi invisibile, trasformando la sua presenza in un’assenza significante. Per un’ora e mezzo il pubblico ha ascoltato i brani dell’album senza interruzioni mentre lui si muoveva liberamente su di un palco con gli altri artisti presenti nell’album. Una dinamica più vicina ai caroselli delle tracce di Spotify che ad un’effettiva performance.

In nessun caso i fan parlano di eventi particolarmente significativi. Cio che rimane è quasi sempre l’aura di culto dell’artista in questione e l’idea di stare nello stesso spazio con lui. Il campo di lavoro, in futuro, potrebbe essere proprio questo: creare ad hoc delle esperienze fisiche totalizzanti per l’ascolto dell’album. Come fecero ad esempio, con altra forma mediale, i Radiohead per il lancio di Kid A Mnensia. Ogni traccia aveva una sua dimensione da esplorare e vivere in prima persona nell’eccellente videogioco immersivo Kid A Mnesia The Exhibition. Eppure, la sperimentazione per la presentazione di un album è ovviamente vecchia quanto il marketing stesso. Si pensi, parlando dell’utilizzo del digitale, agli artisti che presentavano il loro disco su Second Life.

Autogestione: listening party nei negozi di dischi

Esistono già da qualche anno, per quanto molto meno diffusi, listening party fisici senza la presenza degli artisti. Negozi di dischi che per lottare contro la crisi di settore ottengono la possibilità di riprodurre in anteprima, per intero, l’album in questione. Alcuni utenti di Reddit lo definiscono semplicemente come “curiosare nel negozio di dischi mentre suonano il nuovo album dagli altoparlanti”. Molto più interessante è quando alcune persone decidono in autonomia di scegliere un disco, anche del passato, e ritrovarsi nello stesso luogo fisico per ascoltarlo per intero.

L’idea è di superare le playlist personalizzate per un ascolto collettivo e integrale. Un ritorno alla concezione dell’album come un’opera unitaria e coerente, non come una semplice raccolta di tracce. L’ascolto completo, inoltre, permette di cogliere le sfumature narrative e sonore che, nell’intenzione dell’artista, si dispiegano solo in un flusso continuo. Si restituisce così all’opera la sua struttura e il suo significato completo. Salvo pochi esempi, questo è uno dei motivi per cui il concept album è quasi scomparso dal panorama musicale contemporaneo.

I listening party autonomi, quindi, sono una riscoperta dell’album come concetto. Trovarsi insieme per ascoltare non è solo un atto di fruizione, ma una celebrazione della presenza e della temporalità. Questo tipo di eventi restituisce alla musica la sua centralità mediata dall’esperienza, oltre quella individuale offerta dalle playlist. Un evento che da social, ritorna sociale.

Dalla pandemia ad oggi: fisicità e mediazione

Se durante la pandemia la necessità era quella di ricreare virtualmente un senso di comunità, nel post-pandemia questa esigenza si è tradotta in nuove forme di presenza fisica. Il successo del formato suggerisce che, nell’era dello streaming perpetuo, il valore non risiede più nell’accesso al contenuto – ormai ubiquo – ma nell’unicità dell’esperienza condivisa.

È significativo che questo formato sia emerso proprio ora: mentre la virtualizzazione imperante cresce, la riappropriazione del corpo e dello spazio fisico emerge spontanea, pur mantenendo le caratteristiche di evento social-oriented tipiche della contemporaneità. La presenza silenziosa dell’artista diventa simbolo di questa tensione tra fisicità e mediazione, tra presenza e assenza, tra performance e non-performance.

Carpe diem, affari d’oro per la musica

Dietro la diffusione dei listening party ci sono anche precise ragioni legate all’industria musicale. In un’epoca in cui lo streaming ha drasticamente ridotto i margini di guadagno sulle registrazioni, gli artisti e le label hanno trovato in questo formato una nuova fonte di ricavi. I fan sono disposti a pagare cifre considerevoli per ascoltare un album in anteprima alla presenza dell’artista. Si pensi che il listening party di Kanye West per Vultures aveva biglietti d’ingresso che andavano dai 140 fino ai 220 dollari. Billboard stima che il suo tour ha generato circa 12 milioni di dollari. Non solo: questi eventi generano naturalmente un forte hype sui social media – foto, video e commenti dell’esperienza esclusiva alimentano l’attesa per l’uscita dell’album.

Dal punto di vista produttivo, rappresentano un’alternativa economicamente vantaggiosa al concerto tradizionale. Niente backline, niente prove, niente sound check, solo un buon impianto audio per la riproduzione del disco. È la perfetta incarnazione del marketing esperienziale contemporaneo: si vende l’unicità del momento, la presenza fisica dell’artista, l’esclusività dell’anteprima. E il pubblico risponde, dimostrando che davanti all’accesso illimitato alla musica, è l’esperienza irripetibile ad avere davvero valore.

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