La moda adattiva sta diventanto una realtà: è sempre più diffusa la consapevolezza che abiti e accessori debbano andare incontro ai bisogni di fisicità non conformi, cioè alle esigenze delle persone con disabilità permanente o temporanea.
Il fenomeno non attiene solo la sfera moda, l’adaptive fashion è un ponte verso il progresso culturale e sociale, in grado di migliorare la qualità della vita delle persone in difficoltà e favorendo l’inclusione sociale di fasce di popolazione di fatto ad oggi socialmente escluse.
Potere dell’outfit: fra comunicazione ed empowerment
Clothing transforms me, defines me, gives me confidence. You may not feel the same way about fashion, but I bet you have a favorite T-shirt or a pair of jeans that transforms you, makes you feel good, makes you feel like you
L’abbigliamento mi trasforma, mi definisce, mi dà sicurezza. Potresti non sentirti allo stesso modo riguardo alla moda, ma scommetto che hai una maglietta preferita o un paio di jeans che ti trasformano, ti fanno sentire bene, ti fanno sentire te stesso.
Con questa frase Mindy Scheier, fondatrice e presidente di Runway of Dreams Foundation, la prima organizzazione no-profit di moda per persone con disabilità, inizia il suo Ted Talk nel 2018.
Quali sono le sensazioni che si provano indossando un outfit in cui ci si sente particolarmente bene? Agio, grinta, desiderio di stare in mezzo agli altri – anche per essere ammirati – e socializzare. Questo status positivo e propositivo che parte dall’abbigliamento, passa al fisico e arriva fino alla mente può essere ambito da tutti, anche persone con disabilità. E, in tutti i casi, l’effetto è sempre lo stesso. Afferma la stylist Giuseppina Sansone: ”L’abito che si sceglie di indossare può influenzare le proprie capacità, diventando parte integrante della propria identità, aiutandoci a definire un ruolo e ad appropiarci delle caratteristiche e capacità ad esso legato. Pensate, ad esempio, al senso di sicurezza e di autorevolezza che una giacca e una cravatta infondono a un uomo d’affari, così come un tailleur di buon taglio, a una donna”.
La frase è riferita a persone che non hanno difficoltà particolari, ma il principio è lo stesso, funziona allo stesso modo: gli abiti giusti per ogni occasione e momento della giornata hanno lo stesso effetto sulle persone con e senza disabilità.
Anche la comunicazione di sé è una narrazione che passa dal proprio modo di vestire:
Attraverso l’abito, presentiamo noi stessi nelle relazioni, esprimiamo i nostri gusti e le nostre caratteristiche, ma soprattutto raccontiamo agli altri chi siamo; il modo di rappresentarci e raccontarci attraverso l’abbigliamento influenza il nostro benessere emotivo e psicologico, poiché sentirsi bene nei propri abiti significa sentirsi bene con sé stessi e presentarsi agli altri in modo autentico
Simona Cuomo, Associate Professor of Practice di Leadership, Organization & Human Resources presso SDA Bocconi School of Management e coordinatrice dell’Osservatorio Diversity & Inclusion & Smart Working
Tutti questi fattori e valori sono ricompresi nella moda adattiva, o adaptive fashion.
Abiti senza barriere attraverso le modifiche adaptive
Il concetto stesso di pensare alle persone disabili come a una minoranza rischia di privarle di un diritto elementare: poter scegliere cosa indossare al mattino per esprimersi a pieno.
Di fatto, in questo modo, le persone vengono escluse dalla società: molti capi standard creano loro ulteriori barriere, perché in fondo anche quelle degli abiti sono barriere architettoniche. Le modifiche adaptive ai capi sono pressochè invisibili, ma fanno la differenza, rendendo possibile alle persone disabili indossare gli abiti che vogliono e compiere in autonomia l’atto stesso del vestirsi: cerniere con linguette, chiusure in velcro o magnetiche al posto dei bottoni, orli e vita regolabili, chiusure con piccoli tiranti a scorrimento che permettono anche la regolazione dell’ampiezza con una sola mano, inoltre tessuti elasticizzati traspiranti e aperture su spalle, schiena e lati che facilitano la vestizione. I pantaloni per persone sulla sedia a rotelle hanno un rialzo più alto nella parte posteriore e sono privi di tasche posteriori, cuciture e dettagli che possono causare sfregamenti. Sempre per evitare irritazioni dovute a sfregamenti, le etichette vengono stampate sui tessuti ultra morbidi.
I Brand Adaptive più conosciuti
I marchi più numerosi sono in negli Stai Uniti, in Regno Unito, in Australia e in generale nei Paesi in cui le stesse persone disabili hanno maggiore coscienza dei loro diritti, perchè nel recente passato sono riuscite a far sentire di più la loro voce. Un esempio macroscopico è la lotta per i diritti dei disabili che negli USA è iniziata negli anni ’60 del Novecento, insieme a quella delle minoranze nere e dei diritti delle donne. Tra le molte iniziative, in quegli anni infatti nasce il movimento per i diritti della Disabled Community, ritratta nel docufilm di Nicole Newnham e Jim LeBrecht Crip Camp – Disabilità rivoluzionarie, che vede tra i suoi produttori esecutivi Barack e Michelle Obama e la loro casa di produzione Higher Ground Productions.
Quando si parla di moda adattiva, uno dei brand più noti è Tommy Adaptive di Tommy Hilfiger, marchio fashion globale che dal 2017 ha costantemente investito e prodotto moda adattiva.
Un altro brand è IZ Adaptive, creato dalla fashion designer canadese Izzy Camilleri, una delle stylist più note di Hollywood, che ha vestito fra gli altri Meryl Streep nei panni di Miranda Priestly ne Il diavolo veste Prada.
Nel 2023 anche Zalando, nota piattaforma online europea per la moda, ha lanciato la sua prima collezione di moda adattiva, composta da oltre 140 stili attraverso le sue private label: Zign, Pier One, Anna Field, Yourturn e Even&Odd. Nel Regno Unito, il brand Unhidden, che partecipa da circa due anni alla London Fashion Week, unisce all’essere adattivo la sostenibilità dei capi proposti, mentre il gigante irlandese Primark ha appena lanciato la sua capsule di adaptive lingerie a prezzi accessibili.
Italia: una situazione sul punto di cambiare?
In Italia, il settore è ancora indietro e le etichette adattive sono poche: Iulia Barton, la cui collezione è genderless, seasonless, sostenibile e versatile nelle taglie, Lyddawear, D – Different e Takaturna. Questo è un inizio e le possibilità di crescita sono molte, anche perché l’esportazione della produzione italiana è globale ad esempio Iulia Barton è molto apprezzata in giappone e in Oriente in generale.
L’Adaptive Fashion è un business da non sottostimare per il suo valore economico e commerciale. Già nel 2019 Vogue Business aveva stimato che, solo negli Stati Uniti, il potenziale di mercato di questo settore valeva oltre 400 miliardi di dollari. E se, nel mondo vi sono circa 1,4 miliardi di persone con disabilità, si calcola che queste rappresentino un potere d’acquisto aggregato di 8 trilioni di dollari l’anno.
Soddisfare quindi i bisogni di abbigliamento alla moda delle persone con disabilità non deve dunque essere visto come un atto puramente legato a parametri relativi all’impatto sociale, come lo SROI (Social Return on Investment), ma anche come una legittima strategia commerciale per rispondere alla domanda di un target specifico.
“Oltre a essere un’economia multi-miliardaria – scrive il consulente e coach statunitense Jonathan Kaufman su Forbes – la moda rimane un’industria creativa, in grado di imporre nuovi canoni estetici e di rivoluzionare quelli già presenti”, di fatto includendo socialmente le persone con disabilità.
Tuttavia una linea di moda adattiva richiede un impegno concreto, un lavoro meticoloso nella creazione degli abiti come nella scelta delle modelle e modelli, fino alla produzione di capi in un campionario di taglie più ampio. Un progetto che per ora sembra interessare una nicchia, ma che potrebbe migliorare la vita di molti, e infine arrivare ad essere un modo di vestire più libero e adatto, appunto, a tutti.